La colpa è tutta dei videogiochi, o forse no?

Un'analisi su quelle che, a parer di molti, sarebbero le vere colpe dei videogiochi.

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a cura di Michele Pintaudi

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Il 2019 promette di essere un altro grandissimo anno per l’industria videoludica, con grandi produzioni già approdate nei negozi e altre sempre più attese dai videogiocatori di tutto il mondo. Siamo soltanto all’inizio, insomma, dell’ennesima annata d’oro per tutti gli appassionati del mondo del gaming e, date le premesse, il meglio deve ancora venire.

Il videogioco del resto è qualcosa in grado di stupire, commuovere ed emozionare al pari e forse più di altri medium, e l’enorme processo di crescita che sta attraversando non farà che accentuare ancora di più tutte le caratteristiche che ne stanno determinando il successo. I numeri ci mostrano un mercato cresciuto del 13% durante lo scorso anno con gli Stati Uniti, uno dei pilastri in tal senso, che vantano entrate per la cifra record di 43.4 miliardi di dollari.

Sempre più avanti dunque e con sempre più decisione: giocare non è più un semplice passatempo, ma si sta trasformando in qualcosa di sempre più integrato all’interno della quotidianità. Non sempre però questi meriti vengono riconosciuti a dovere, e spesso il videogioco è ancora oggi demonizzato e oggetto di accusa per i motivi più disparati. Ma facciamo un passo indietro, analizzando la situazione dal principio.

Uno strano ritorno al passato?

Per correttezza nei confronti dei soggetti coinvolti non andremo a citare casi specifici, ma situazioni che tutti voi potete talvolta trovare raccontate nell'ambito della stampa generalista. Pensiamo ad un qualunque crimine commesso da un ragazzo – il cui identikit, a parere della stampa, è sempre il medesimo – senza concentrarci troppo sulla gravità di esso. Ecco, spesso e volentieri la colpa ricade sul rapporto dell’individuo in questione con i videogiochi, indicati come la causa nonché maggior influenza di determinati comportamenti.

A vicenda accaduta, sono principalmente due i soggetti di comunicazione coinvolti: la stampa stessa e le persone che, grazie ai social network, hanno la possibilità di esprimersi su quanto successo. Il tutto ha inizio con l’annuncio della notizia in questione, al quale solitamente in pochi giorni seguono contenuti di approfondimento sull’accaduto: talvolta però questi ultimi tendono a inserire elementi fuori contesto spacciandoli per rilevanti, come ad esempio una celata dipendenza dai videogiochi.

Ne consegue dunque un’inevitabile gogna mediatica, supportata dall’equazione secondo cui un videogioco violento dà vita ad una persona violenta. Ma può davvero un videogioco portare a qualcosa del genere? La risposta, semplicemente, è no. Almeno non in maniera così scontata, dato che dietro a gesti come quelli in questione vi sono problematiche psicologiche ben più articolate, e la psicologia stessa è una delle scienze più complesse da analizzare.

Certo, la dipendenza dai videogiochi esiste e costituisce un disagio reale per chi ne è affetto, ma nessuno dei casi proposti accenna a eventuali condizioni mediche dei soggetti coinvolti, almeno in tal senso. Sarebbe bene dunque chiedersi sin da subito se una partita a Grand Theft Auto possa davvero essere la goccia che fa traboccare il vaso della pazzia, e molto probabilmente la risposta sarebbe un altro secco no.

Come affermato all’inizio dell’articolo, il videogioco è senza ombra di dubbio parte integrante della vita di un gran numero di persone, molte delle quali appartenenti alla fascia più giovane della popolazione: questo però è un elemento comune anche agli altri medium, che forse riescono ancor di più a caratterizzare la vita delle persone. Stiamo parlando di film, serie TV, musica e quant’altro, persino della stampa stessa: possono i “cattivi esempi” proposti da queste fonti influenzare una persona a tali livelli?

Nessuna testata, nessun telegiornale si immaginerebbe mai, in breve, di imputare ad una canzone tutte le colpe che oggi ricadono in maniera sistematica sui videogiochi. O perlomeno, nessuno lo farebbe nel 2019. Tornando indietro con gli anni, nemmeno troppo a onor del vero, troviamo diversi casi dove un certo tipo di musica veniva accusato di provocare nei giovani atteggiamenti violenti e di ribellione: in tutti questi casi, si trattava di generi musicali nuovi, da poco entrati a far parte della scena mainstream.

Questo per indicare che il nuovo spesso e volentieri fa paura e, nonostante i videogiochi esistano ormai da diversi decenni, non sono ancora stati sdoganati a dovere da quel punto di vista. Banalmente pensiamo a come il cinema e la musica siano diffusi anche attraverso un mezzo a disposizione di tutti come la televisione, mentre i videogiochi non ricevono ancora la giusta risonanza mediatica.

Interrogativi e speranze per il futuro.

Si parla di videogiochi troppo spesso per demonizzarli, e troppo poco per illustrare la magnifica forma d’arte che sono diventati. Questo è in parte causato anche da una comunicazione che non sempre riesce ad andare a segno in senso opposto: chi sviluppa, pubblica o anche scrive in campo videoludico si trova insomma costretto a fronteggiare tutta una serie di accuse senza, spesso, poter fare altro che difendersi argomentando con i fatti la propria posizione.

La concezione di videogioco si è evoluta ma non per tutti, e la visione d’insieme che troviamo oggi è eccessivamente marcata da una forte disinformazione di fondo. Chi vi scrive però è fiducioso, ritenendo che per la progressiva accettazione necessiti senza ombra di dubbio di una cosa soltanto: il tempo. Un’opera videoludica, come detto, supera talvolta produzioni di altro genere grazie a due elementi che possiamo chiamare interattività e crossmedialità. Caratteristiche che rendono ovviamente un prodotto del genere qualcosa per tutti, ma non alla portata di tutti: approcciare il nuovo è sempre complesso, e la realtà dei fatti ci pone di fronte a molti dilemmi sulla questione.

Quando e quanto cambieranno le cose? Perché questo processo è così complicato? Perché, più semplicemente, non provare con mano prima di esporre la propria opinione? La difficoltà di fondo nel relazionarsi con un media del genere è uno scoglio superabile, soprattutto in un’epoca come quella di oggi dove praticamente chiunque ha la possibilità di spendere qualche ora giocando, che sia per passione o per puro intrattenimento.

Invitiamo dunque tutti coloro che puntano il dito contro i videogiochi a fare un piccolo passo indietro, provando a toccare con mano un qualunque titolo tra tutti quelli che il mercato propone. Giusto per comprendere una volta per tutte quanto un videogioco non sia un’arma, ma una delle migliori espressioni dell’evoluzione tecnologica e non solo: con uno sforzo minimo potreste scoprire un nuovo mondo, un nuovo modo di concepire l’intrattenimento. Insistere nel giudicare senza conoscere, invece, non porterà certo chi ama i videogiochi a cambiare idea su una delle forme d’arte più complete e innovative che siano mai state ideate.

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