La (lenta) agonia di Hinaki Suzumachimelhafattofaremiya

Abbiamo giocato al JRPG Blue Reflection di Gust, meglio conosciuti per la saga di Atelier. Ci ha convinto? La risposta è "ni", ma per i dettagli ecco la nostra recensione.

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a cura di Jacopo Retrosi

La formula di gioco di Blue Reflection si scinde in due fasi ben distinte: una prettamente dialogica, in cui faremo il giro della scuola in cerca di potenziali prede a cui rattoppare la psiche, e una in cui ci tufferemo all'interno del Common - una sorta di landa-contenitore ove coesistono le emozioni di tutte le persone sulla faccia della Terra, spesso preda di strane creature ghiotte proprio di quest'ultime - per sgominare i cattivi e recuperare il frammento di turno.

Un dualismo che ricorda molto il cavallo di battaglia del team nipponico, Atelier, da cui Gust ha attinto a piene mani per delineare anche il combat system a turni e i ritmi rilassati, tuttavia si tratta di una filosofia che mal si sposa sia con il setting che la direzione che il titolo vuole intraprendere.

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Se infatti in Atelier - gli ultimi capitoli se non altro - esplorazione e sintesi coesistono in perfetta armonia, incentivando il giocatore a rallentare il passo per sperimentare nuove soluzioni e approfondire quanto il mondo di gioco abbia da offrire - ma sempre e comunque a sua discrezione - in Blue Reflection la lentezza viene imposta, obbligando lo sventurato con il pad di fronte allo schermo a sottostare ai tempi definiti dal software, alla sua routine, in una realtà chiusa ed estremamente limitata. Sì, un po' come una vera scuola a dire il vero, di quelle noiose però.

Intendiamoci, il proposito alla base della produzione Gust di concentrarsi sul dialogo e sul rapporto con ogni ragazza del cast e soprattutto sulla crescita di ognuna nel corso della storia è piuttosto intrigante, tuttavia il comparto narrativo non è in grado di mantenere vivo l'interesse del giocatore durante le 20-30 ore necessarie a terminare il "trimestre".