Non è Sony il lupo cattivo, siete voi!

Dalla presunta cancellazione di Days Gone 2, fino all'apparente interruzione dei rapporti con Kojima, scopriamo perché Sony non è il lupo cattivo.

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a cura di Andrea Maiellano

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Negli ultimi giorni la presunta cancellazione di Days Gone 2, il vociferato remake di The Last of Us e il rumor che una nuova collaborazione con Hideo Kojima sia stata respinta hanno posizionato Sony, o meglio il CEO di SIE Jim Ryan, nell’occhio di un ciclone mediatico atto ad accusare la compagnia di ogni possibile crimine verso il settore videoludico.

Un vociare che si era già palesato qualche settimana fa, quando Sony annunciò l’imminente chiusura degli store digitali di PlayStation 3, PSP e PlayStation Vita, e che additava la società di non avere una strategia atta a preservare, e rendere costantemente disponibili, le produzioni storiche. Ora le critiche vertono tutte verso l’apparente volontà di SONY di investire esclusivamente su quei brand che assicurano un guadagno concreto, eliminando IP promettenti e puntando tutto sul creare blockbuster che possano estendersi verso altre forme di intrattenimento. 

Nei giorni scorsi, in quel magico mondo che è Internet, la nomea della compagnia è stata infangata con ogni sorta di illazione da parte della sempre più nutrita fetta di utenti dal “forcone facile”. Ma è realmente Sony il lupo cattivo di tutta questa storia? O ci troviamo di fronte alle solite “chiacchiere da bar” virtuali?

Concentriamoci proprio sul tanto chiacchierato sequel della IP di Bend Studios. Days Gone vide la luce, il 26 aprile del 2019, dopo quattro anni di sviluppo travagliati e pieni di cambiamenti. In pochi probabilmente ricorderanno che nelle numerose conferenze pre-lancio fu presentato un sistema di scelte morali in seguito completamente rimosso dalla versione finale, e che al lancio il gioco era afflitto del numerosi bug e problemi tecnici, che inficiavano l’esperienza al punto da generare rari casi nei quali il giocatore si ritrovava a dover ricominciare da capo l'avventura a causa di un salvataggio corrotto.

Le evidenti incertezze tecniche, unite a una struttura ludica che, pur presentando alcuni spunti indubbiamente originali e divertenti, si mostrò troppo conservativa e vincolata al passato del genere open world, portarono Days Gone a ricevere pareri molto tiepidi da parte della critica del settore, con un Metascore che oscillava fra il 70 e l’80 al momento dell’uscita nei negozi. Alcuni di voi potrebbero pensare che il voto numerico non sia uno strumento in grado di veicolare il successo di un prodotto, né che il divertimento soggettivo possa essere quantificato con un semplice numero: vi smontiamo subito questa “leggenda metropolitana” confermandovi che purtroppo la maggior parte dei consumatori, prima di spendere i propri soldi, ha bisogno che un numero li rassicuri sul loro acquisto. 

Facendo una piccola digressione dall’argomento principale di questo articolo, forse può interessarvi sapere che Qualtrics mostrò che oltre il novanta percento dei consumatori cerca una valutazione online prima di acquistare un prodotto e che oltre l’ottanta percento si ferma di fronte a un voto inferiore al 8/9, non ritenendo l’acquisto meritevole. Il risultato, in ambio videoludico, è quella trafila di frasi fatte quali “aspetto che lo diano col Plus”, “vabbè, appena lo trovo a 15 euro lo compro”, e così via.

Con questo, ovviamente, non si vuole assolutamente sostenere che si debbano spendere tassativamente settanta euro per ogni nuovo gioco che viene pubblicato ma che bisognerebbe conoscere i meccanismi che muovono realmente il mercato, prima di indignarsi, anni dopo, con le decisioni prese da un’azienda.

Meccanismi che, come analizzeremo in seguito, Sony conosce molto bene, e che i risultati di Days Gone degli ultimi anni confermano ulteriormente. Nel primo weekend la produzione di Bend Studios ha venduto poco meno di 120.000 copie, un risultato poco impressionante, specialmente se raffrontato ai 7,6 milioni di dollari spesi da Sony per i due spot nord americani realizzati per promuovere il lancio del gioco.

Un risultato che nei mesi successivi non migliorò sensibilmente e per il quale Sony non si prodigò mai nel fornire dei veri e propri dati ufficiali, limitandosi a rilasciare infografiche e sibilline posizioni in classifica che si presentavano più come materiale promozionale che come traguardi da celebrare, mentre arrivava l'informazione che l'IP di Bend Studios stava ottenendo risultati di vendita che erano inferiori del 38,8% rispetto a Horizon Zero Dawn.

Game Stat ha certificato che Days Gone ha avuto circa 9 milioni di utenti unici nel suo primo anno sul mercato e, per quanto Sony non abbia mai ufficializzato i dati di vendita, è stato quantificato in più riprese un numero approssimativo di copie vendute che si assesta sui 5 milioni dal 2019 a oggi.

Un risultato che esclude tutte le copie reperite tramite mercati paralleli (usato, account condivisi, copie prestate da amici) e che, unito a un pitch apparentemente poco interessante, ha portato Sony a interrompere i lavori sul seguito del gioco, per riallocare su progetti differenti le risorse offerte dai suoi studi interni. Una decisione errata? No, e ora vi spieghiamo le motivazioni per cui non ha nemmeno senso indignarsi per una scelta che, di fatto, abbiamo veicolato noi consumatori. 

Senza scomodare IP storiche come God of War o The Last of Us, vi basti pensare che una nuova proprietà intellettuale come Horizon Zero Dawn ha venduto, in due anni, oltre 10 milioni di copie. Vuoi per il setting meno reiterato, vuoi per l’originalità del comparto artistico, vuoi per il periodo d’uscita in cui gli open world ancora legati a schemi ben rodati erano più benvoluti l’avventura di Aloy, anche a fronte di un Metascore lievemente migliore, ha conquistato maggiormente i giocatori.

Perché, quindi, Sony dovrebbe investire ulteriormente tempo e risorse per il sequel di una nuova IP che non ha garantito i risultati desiderati? Qui si potrebbe iniziare a disquisire in merito a tutte le affermazioni ritrovate sul web in questi giorni: “c’è bisogno di nuove idee”, “non è possibile concentrarsi solo su remake, reboot e sequel”, “Sony sta perdendo la sua vena creativa”, “Days Gone aveva ancora molto da dire con le giuste migliorie”, eccetera, eccetera. La realtà dei fatti, però, è ben diversa: Sony si sta muovendo esattamente come il mercato le chiede di muoversi… come noi le chiediamo di agire.

Riallacciandoci un attimo a un’intervista fatta a Shawn Layden lo scorso autunno, l’ex presidente di Sony America sostenne che la produzione dei single player tripla A necessitava al più presto di una riorganizzazione, in quanto non erano più un investimento sostenibile. I motivi erano tutti da ritrovarsi nelle richieste di un pubblico sempre più pretenzioso, costantemente alla ricerca di un comparto tecnico avveniristico, una longevità e una varietà elevate ma a un prezzo contenuto. Un’aspettativa completamente fuori dalla realtà del mercato, per la quale Shawn suggerì un ridimensionamento della longevità che permettesse, perlomeno, di mantenere invariato il prezzo di vendita dei giochi single player tripla A. 

Neanche a dirvi che queste affermazioni scatenarono le ire di una community pronta a fare i conti in tasca a Sony, iniziando a sventolare risultati approssimativi, senza comprendere che ogni singolo progetto deve essere considerato una realtà indipendente e come tale deve essere profittevole per un’azienda. Per quale motivo Sony dovrebbe finanziare una produzione come Days Gone 2 se al netto di un investimento di tempo e risorse, il risultato non è redditizio? Per puro mecenatismo? Per amore di una piccola parte dei consumatori che è diventato fan della serie dopo averlo giocato grazie al PlayStation Plus? Soprattutto quando anche i celebri blockbuster prodotti dai PlayStation Studios non riescono a competere, se non in pochissimi casi, con i numeri generati dalle “solite note” produzioni di terze parti.

Vi basti pensare che solamente Marvel’s Spider-Man è riuscito a tenere testa alle vendite generate da GTA V nell’intera generazione PlayStation 4. Se poi si osserva una qualunque delle classifiche di vendita settimanali si può constatare come siano sempre i soliti due titoli a dominare la vetta, escludendo quelle poche occasioni in cui il seguito celebre, o l’IP storica, cambia le carte in tavola per una manciata di settimane. Tutti evidenti segnali chiari di cosa chiede realmente il mercato. 

Di fronte a tutti questi dati si può ancora accusare Sony di essere il lupo cattivo? Di essere l’azienda malvagia che cancella delle “IP promettenti” per l’ennesimo remake/sequel? O forse è il caso di fermarsi a riflettere prima di reclamare a gran voce il seguito di un gioco di cui si leggeva fino a qualche mese fa che “nemmeno in regalo col Plus meritava attenzioni”? Perché alla fine di Days Gone 2 alla community frega poco, così come di un nuova collaborazione fra Sony e Hideo Kojima. Quello che cerca è solo l’ennesima decisione aziendale da trasformare in una bistecca virtuale per scatenare la propria natura da leone da tastiera.