Recensione Lost Sphear, memorie di un'era perduta

La recensione di Lost Sphear, gioco di ruolo orientale vecchio stampo dai creatori di I Am Setsuna, in uscita su PC, Switch e PS4.

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a cura di Jacopo Retrosi

Lost Sphear

 

Sequel spirituale di I Am Setsuna, Lost Sphear è un JRPG vecchia scuola per nostalgici e non. Tradizionale nello stile e nell'impostazione, le migliorie sono tangibili rispetto a due anni fa, ma c'è ancora margine di miglioramento.

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CONTRO: Piuttosto facile, se va a sprecare un sacco di materiale tattico e strategico altrimenti eccellente; L'entusiasmo tende a spegnersi quando si sa con ore di anticipo dove andrà a parare la storia; Alcune situazioni "scomode" evitabili.

VERDETTO: Pur avendolo giocato perennemente con un fastidioso senso di déjà vu e senza aver avuto molte reali occasioni per saggiare la bontà del battle system, Lost Sphear è sempre venuto incontro alle nostre esigenze, divertendoci con un gameplay vetusto ma tutt'altro che obsoleto. Non sarà innovativo e la spettacolarità non è certo il suo forte, tuttavia se amate i JRPG di una volta non potete non apprezzare l'ultima fatica di Tokyo RPG Factory. 

Dagli autori di I Am Setsuna, Lost Sphear è un JRPG approdato in questi giorni su PC, Nintendo Switch e PlayStation 4. Sulla scia del suo precursore, la produzione Tokyo RPG Factory e Square Enix propone un'esperienza ispirata ai classici giochi di ruolo di stampo nipponico dei primi anni '90, riprendendo numerosi elementi di richiamo tipici del genere e rimaneggiandone altri.

Il risultato è un'opera dal sapore tradizionale impreziosita da un paio di idee interessanti, sufficienti tanto a soddisfare i fan di lunga data, temprati dagli anni e ormai abituati alla solita tiritera, quanto a catturare l'attenzione di chi non mastica JRPG e non vuole avvicinarsi al filone con qualcosa di troppo "vecchio".

Non solo, il team di sviluppo si era prefisso l'obiettivo di espandere e raffinare la formula di I Am Setsuna, accolto calorosamente dal pubblico ma al tempo stesso criticato per alcune soluzioni di design poco ponderate. Ci saranno riusciti con questo nuovo capitolo?

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Secondo antiche leggende, è stata la luna a generare la vita sulla terra. Nel mondo di Lost Sphear persone e cose, dagli oggetti di uso comune agli oceani, mostri compresi, sono composti da numerose memorie, che li identificano e rendono possibile la loro esistenza.

Quando a un'entità vengono sottratte le proprie memorie questa scompare, si "perde", diventando una macchia bianca indistinta fuori dallo spazio e dal tempo; un fenomeno che nessuno riesce a spiegare e che sta diventando sempre più frequente e gravoso sulla vita di tutti i giorni.

L'eroe della nostra storia, Kanata, il classico ragazzo che conduce una vita spensierata in campagna assieme ai suoi amici d'infanzia, scopre ben presto di essere in grado di assimilare nuove memorie da ciò che lo circonda (vuoi parlando con qualcuno, leggendo un libro o un'iscrizione, analizzando l'ambiente oppure sconfiggendo mostri) e utilizzarle per ripristinare ciò che è andato perduto. 

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Dopo essere riuscito a riportare indietro il suo villaggio natale, Kanata inizierà un lungo viaggio con l'obiettivo di utilizzare il suo potere a fin di bene. Quella che si dipana in seguito è la solita cavalcata fantasy in un crescendo di rivelazioni e colpi di scena che porterà il giocatore a viaggiare in lungo e in largo tra i vari continenti, attraverso mari e monti, tra grotte, paludi, rovine e fortezze abbandonate. Intrighi vecchi di secoli, imperi corrotti, antiche profezie e armi di distruzione di massa e un protagonista buono come il pane, dall'inguaribile ottimismo e sempre pronto a tendere la mano ai suoi nemici... Sì, nulla di nuovo sotto la luce del sole.

Eppure, a dispetto dell'uso (e abuso) di cliché, il comparto narrativo di Lost Sphear è scorrevole e piacevole da seguire. L'intento di Tokyo RPG Factory dopotutto è appoggiarsi all'immenso repertorio intavolato da innumerevoli JRPG nel corso degli anni, non certo rivoluzionare il settore o abbattere chissà quale muro. La vicenda orchestrata dal team nipponico non si fa problemi ad attingere a svariate opere cult dell'epoca, ma lo fa con rispetto, senza smarrire la propria identità, delineando un intreccio convincente e fedele alle sue origini.

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Sviluppi prevedibili e colpi di scena citofonati sono una conseguenza di questo approccio, tuttavia è un dettaglio che raramente ci ha infastidito durante le 25-30 ore trascorse in compagnia di Kanata e compagni, merito di dialoghi concisi (rispetto alla media del genere) e un ottimo cast di protagonisti e comprimari. Otto membri del party sono parecchi da gestire, ciononostante riescono tutti a contribuire in ugual misura alla causa e si può percepire la loro crescita come individui tra un evento e l'altro.

Niente scenette comiche atte a smontare la loro figura o verbose missioni secondarie che non aggiungono nulla di concreto, a vantaggio di una storia dal ritmo frizzante e senza (quasi) un attimo di stanca, in grado di riservare più di una sorpresa, soprattutto nelle battute finali.

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