Vorrei che qualcuno mi restituisse il tempo perso con la Summer Game Fest

Presentata come l'alternativa di quest'anno all'E3, la Summer Game Fest si poi presentata come qualcosa di decisamente più contenuto.

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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Ieri si aperta la Summer Game Fest, ovvero l'evento digitale che, almeno nelle intenzioni di Geoff Keighley, avrebbe dovuto rimpiazzare l'E3 di Los Angeles, ovvero quella che, per chi vi scrive, era idealmente identificata come la fiera dei videogame per eccellenza, questo almeno fino ad una decina di anni fa, quando l'E3 cominciò a vivere il suo lento e costante declino, su cui poi fu messa una vera e propria pietra tombale dalla pandemia da COVID-19.

Il buon Geoff, ormai, dovreste conoscerlo tutti: classe 1979, canadese, giornalista di videogame di lunghissima data, creatore e conduttore dei Game Awards, grande amico di Hideo Kojima. Keinghley è, senza alcun dubbio, il volto più importante del giornalismo videoludico, ed anche uno che è andato ben oltre il concetto di “avercela fatta”, giacché di giornalismo sui videogame non solo Geoof ci campa, ma ha fondato un vero e proprio business che, potremmo dirlo, è ormai tutto basato sulla propria persona, quasi fosse una rockstar del giornalismo di settore.

“Sciapò” direbbe qualcuno ben più celebre e memetico di me.

Ovviamente, con questa premessa, capirete tutti che l'annuncio non di una conferenza, ma di un vero e proprio evento dedicato ai videogame, con il coinvolgimento di diversi publisher, e la promessa di annunci di tutto rispetto, aveva risollevato un po' l'umore dell'intero settore, visto che qui si fatica ancora a trovare una quadra dopo il COVID che, ancora e prolungatamente, sembra affliggere il mondo dello sviluppo dei videogame, per altro in una situazione che, seppur in misura più localizzata, è stata aggravata dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina.

Il settore non è fermo, ma è comunque vittima di un certo dormiveglia, ed alcuni esempi sono lampanti: console che ancora si faticano a ritrovare, titoli attesissimi che non si sa bene quando usciranno e se saranno slittati, calendari uscite che ormai possono contare solo sul mercato indie (e sulle loro buone idee) per concedere ai giocatori una certa continuità. Certo, i pezzi grossi escono di tanto in tanto ma, siamo sinceri: non è quello che ci si aspetterebbe ad oltre un anno di uscita di una nuova generazione console.

La Summer Game Fest, in questo contesto strano e, per certi versi, indecifrabile, in cui regna un'incertezza assoluta e continua, sembrava un po' la proverbiale “manna dal cielo”, capace non solo di riaccendere la nostra attenzione verso il settore, magari annunciando qualche data tanto attesa o proponendo qualche progetto di cui non si sapesse già tutto, ma proponendosi anche come un momento con cui il settore in sé si sarebbe potuto mostrare prolifero e in forze, al di la di quelli che sono i dati di vendita che sì, sono positivi, ma hanno un impatto emotivo molto limitato sullo spettatore/giocatore, a meno che non si sia di quelli che scende in piazza sventolando la bandiera PlayStation ogni qualvolta Sony comunica i suoi dati di vendite.

Che farebbe ridere, e sarebbe comunque uno show più interessante di quello a cui ho assistito ieri sera. Perché, a dirla tutta, non penso che si possa poi dire molto di galvanizzante sulla serata d'apertura della Summer Game Fest, e se il buongiorno si vede dal mattino, allora le cose stanno andando maluccio rispetto a quelle che, almeno sulla carta, erano le intenzioni dello show... almeno per quello che io avevo capito che questo show sarebbe stato, poi ditemi voi.

Il problema principale è più visibile, direi che è stato il ritmo molto altalenante di un Geoff Keinghley forse più concentrato sul fare (personal) branding che altro. La Summer Game Fest, non giriamoci troppo attorno, è stata abbastanza noiosa e deludente, e se siete tra quanti hanno pensato che fosse meglio spendere il proprio giovedì sera facendo altro, recuperandosi i soli trailer la mattina dopo, allora fidatevi: avete fatto la scelta giusta.

Intendiamoci: non è stato proprio tutto da buttare ma, a giudizio di chi vi scrive, le parti salvabili erano ben poche, ed il peso effettivo degli annunci non è stato poi così dirompente da spaccare in due la rete come, invece, succede di norma con eventi simili (specie se si parla di E3 e Gamescom). Ma andiamo per gradi.

Anzitutto c'è un problema enorme di questi eventi: sono full digital, e nella loro natura digitale perdono un po' di quell'atmosfera, a tratti solenne, che caratterizzava gli show in presenza, con un pubblico in sala. E badate, perché questo concetto è fondamentale dal punto di vista del marketing e della comunicazione. Senza un pubblico che commenti, chiacchieri, e si spenda in “woooow” e standing ovation, certi eventi non hanno più bisogno (e non sono più in grado) di generare un forte impatto emotivo, perché non hanno un pubblico in sala su cui dover fare colpo e, cosa non meno importante, non possono utilizzare quel pubblico come tornasole per chi segue l'evento in differita, oltre che per la comunicazione successiva.

Il pubblico che si alza, applaude e si esalta, e che in qualche modo va coccolato, se non proprio guidato dal punto di vista emotivo, era una parte importante di certe presentazioni, ed è ovvio che non avendo più a che fare con esso, questi eventi siano diventati quello che ci si aspetterebbe: una carrellata di trailer, inframezzati da qualche momento di chiacchiere, inframezzati da pubblicità. Insomma, non proprio il massimo dell'emozione, salvo non si sia uno youtuber che campa di video reaction e piazza in copertina una serie di selfie tutti uguali, e tutti con la stessa faccia sconcertata da “ohmioddioèincredibile”.

Nel mondo vero se qualcuno si è alzato dalla sedia è stato forse per sgranchirsi le gambe, che di motivi per saltare dalla sedia ce ne saranno stati 2 (Layers of Fears e The Plucky Squire).

Questo ci porta al secondo problema: l'assenza dal calendario eventi di molti nomi di spessore, i cui titoli in lavorazione sono al centro di una lunga, se non lunghissima attesa. Questo, ovviamente, abbassa di molto quello che è l'hype generale che, per forza di cose, non può contare su alcuni nomi illustri e deve in qualche modo “accontentarsi” di quello che c'è. Intendiamoci: non dico che non possa esistere un evento senza nomi come Sony, Nintendo o Ubisoft, ma è ovvio che la loro assenza pesi non poco.

Questo porta poi al terzo punto, che non è direttamente relegato all'assenza di certi nomi, ma più alla scelta di incentrare un evento del genere su titoli che, tutto sommato, sono poco rilevanti. Pur ammettendo che Callisto Protocol sia un titolo da attendere, e che il remake di The Last of Us possa smuovere ben più di un animo, va detto che questi non sono nomi su cui normalmente si punterebbe per un evento simile, il primo perché è un gioco che ormai conosciamo e che abbiamo rivisto nemmeno un mese fa, il secondo... beh il secondo è un gioco che potete serenamente acquistare in versione PS4 a tipo 10 euro, e dunque ampiamente rigiocabile ed ancora molto godibile.

A ciò, si aggiunge poi un problema di ambizione, che rende il risultato ancor più povero e deludente: la Summer Game Fest, infatti, avrebbe l'ambizione di sostituire – almeno per quest'anno – l'E3 che, fino a prova contraria, è considerato il più grosso evento di comunicazione dedicato ai videogame. Puntare su titoli già visti, o su remake di giochi che, per quanto iconici, sono ancora liberamente alla portata di tutti (e per altro ad un prezzo ben più onesto ed accessibile) ci pare un mezzo passo falso, tant'è che, nel voler essere onesti fino alla fine, diremmo che l'intera serata è stata salvata da Devolver Digital, azienda che pur essendo ormai ben lontana dal mercato indipendente, non viene comunemente ritenuta un vero e proprio “big”, con tutto ciò che ne consegue in termini di pura percezione da parte di giocatori e pubblico.

Al netto di questo, e di quello che potrebbe (come no) essere un bias cognitivo per lo spettatore/giocatore, Devolver è tuttavia una fucina di idee, ed anzi nella sua fantasia, e nel suo show sempre ritmato, divertente e intelligente, si conferma fautrice di una comunicazione leggera, divertita e realmente piacevole.

Tant'è che, nella sua voglia di sperimentare continuamente grazie a studio evidentemente bisognosi di esprimere idee e talento (ragazzi, The Plucky Squire sembra davvero bellissimo!), Devolver ci è parsa l'unica voce davvero capace di dire qualcosa che avesse senso ascoltare, mentre tutto il resto è stato un lungo, tedioso, e per certi versi “ricopiato” baraccone digitale, in cui ad avere concretezza era forse il solo egocentrismo di Keighley e nulla più.

Non bastano una serie infinita di cloni di Dead Space per animare le fantasie dei videogiocatori, né la presenza dell'ennesimo remake arrivato sul mercato troppo presto. Per fare un grande show serve, anzitutto, qualcosa da dire, un prodotto da presentare che sia nuovo e sorprendente. Serve un pubblico da galvanizzare e da far saltare dalla sedia e, infine, serve un buon piano, che non si basi tutto sulle doti da mattatore del suo presentatore, ma che metta al centro di tutto i prodotti e la capacità di comunicarli in un modo che sia almeno un po' più avvincente di quello con cui si presenterebbero le notizie al TG della sera.

La Summer Game Fest è stata più simile ad una (brutta) serata di stand up comedy, intramezzata da pubblicità di videogame, intramezzati a loro volta da altre pubblicità di diverso genere. Era quello che volevo? No. Ma soprattutto, era quello che mi serviva? Non direi. Almeno ne è valsa la pena? No, perché se avessi voluto ascoltare un po' di stand up comedy, oggi come oggi, mi sarei sbizzarrito tra le innumerevoli proposte di Netflix. E lì i remake sono pochi, fanno schifo ma almeno hanno senso e, soprattutto, non mi tartassano di pubblicità (o di Troy Baker).

Ora, stando alle voci di corridoio pare che il prossimo anno l'E3 possa tornare in pompa magna. Difficile pronosticare che sia così, visto che questa è la stessa solfa che ci viene propinata da qualche anno, qualora anche fosse è difficile immaginare che, anche solo per motivi economici, possa tornare ad essere quell'immenso (e desiderato) carrozzone che era stato fino a qualche anno fa.

Per questo, val la pena rigirare la questione in modo diverso, e nell'ottica che ormai questi eventi digitali, grandi o piccoli che siano, sono diventati la norma per la nostra vita di videogamer e professionisti di settore: ben vengano gli eventi digitali (ibridi o full che siano), ma cerchiamo di orchestrarli con più sostanza, perché se devo impegnare anche solo 30 minuti della mia vita, voglio che questi abbiano un senso. Presentare un gioco stra annunciato per messo di un trailer come se non lo si fosse mai visto prima, come se si trattasse di chissà quale premiere solo perché FINALMENTE c'è una data di uscita (Midnight Sun sei tu?) non è roba degna di un evento, è roba degna di un caricamento su YouTube annesso ad un bel comunicato stampa.

Nulla di più, nulla di meno.