Don't Be Evil, Facebook svela le menzogne social di Google

Facebook, Twitter e MySpace hanno messo al lavoro i propri ingegneri per mostrare che Google mente. Il motore di ricerca può indicizzare e mostrare molti risultati provenienti dagli altri servizi, ma sceglie di non farlo per promuovere il proprio Google+.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Facebook, Twitter e MySpace hanno creato il bookmarklet "Don't Be Evil", uno strumento per migliorare la ricerca di Google e dare all'utente la possibilità di ottenere risultati rilevanti dal punto di vista del social. Questo nuovo strumento non fa che aggiungere alla SERP (Search Engine Result page, la pagina dei risultati della ricerca) i contenuti pubblicamente disponibili su Google e Facebook. Proprio quelli che l'azienda di Mountain View aveva affermato di non poter usare perché inaccessibili.

Ma come? Non è forse Google il migliore motore di ricerca al mondo? I risultati di Big G non sono forse quelli più rilevanti per l'utente? E poi, don't be evil non era il motto della stessa Google? Perché altre aziende se ne appropriano? Tante domande, a cui proviamo a rispondere senza scendere in troppi dettagli.

Parola d'ordine: concentrarsi sull'utente

Questa novità vuole essere la soluzione al quello che per molti è un abuso da parte di Google. Da quando l'azienda ha aggiunto i "risultati personali" alla SERP infatti le lamentele non sono mancate, a cominciare da quelle di Twitter. Il dubbio è che Google approfitti della sua posizione dominante nella ricerca online per promuovere Google+.

I risultati personali (Search plus your world) per ora sono disponibili solo su Google.com in inglese, nella forma di un link dedicato in cima alla SERP; cliccandoci si arriva a una pagina che in teoria contiene i risultati rilevanti perché condivisi da persone che conosciamo.

Il "problema" è che G+ ha un ruolo preponderante e spesso ingiustificato. Secondo Google succede perché i risultati di Facebook, Twitter e altri non sono accessibili, ma le aziende concorrenti hanno dimostrato che non è così, sbugiardando l'azienda di Mountain View.  

La SERP di Google com'è - Clicca per ingrandire

Il nuovo strumento don't be evil infatti semplicemente esegue di nuovo la ricerca riorganizzando i risultati, usando dati che sono già accessibili a Google. Ed ecco che emergono pagine Facebook e profili Twitter che sembrano davvero molto più rilevanti per l'utente. Chi cerca Britney Spears per esempio probabilmente trova più interessante una pagina Facebook con milioni di fan e aggiornata, piuttosto che una su G+ poco seguita e semiabbandonata. Ma per scovarla ci vuole il nuovo bookmarklet. E lo stesso vale per Mark Zuckerberg: per quanto sembri assurdo Google considera più rilevante il profilo G+ del fondatore di Facebook rispetto al suo profilo personale sullo stesso Facebook.

Guardando alla SERP generata con il nuovo bookmarklet sembrerebbe proprio che Google faccia del favoritismo per i propri servizi. Per comprendere questo concetto bisogna prima di tutto capire che Google+ non è un motore di ricerca ma un servizio, e la sua presenza nel motore di ricerca è "semplicemente senza precedenti", scriveva Danny Sullivan (uno dei più stimati specialisti SEO al mondo) qualche settimana fa.

La SERP di Google come dovrebbe essere - Clicca per ingrandire

Prendiamo in prestito la metafora di Sullivan. Immaginate di sostituire la ricerca social con quella di video: Google oggi propone video da tanti siti, ma se includesse solo o principalmente YouTube, tutti vedrebbero il problema chiaramente, e molti griderebbero allo scandalo - non mancherebbero ragioni.

Questo è ciò che sta facendo l'azienda con i risultati personali: non propone ciò che la Rete offre personalmente, ma ciò che Google offre personalmente. Una differenza che per alcuni potrà sembrare trascurabile, ma che di certo è dimostrata dallo strumento creato dagli ingegneri di Facebook, Twitter e MySpace, con il più ironico dei nomi.

Se volete scaricare e provare il bookmarklet potete farlo da questa pagina, anche se il suo impatto non è molto evidente (ma visibile) per utenti non statunitensi. Per il resto non resta che attendere le autorità antitrust, che a questo punto si faranno certamente sentire a breve - a meno che Google non intervenga prima.