Facebook e Twitter sorvegliati dall'FBI, pericolo censura

Il Federal Bureau of Investigation vuole tenere sotto controllo i social media a caccia di minacce, e per questo cerca il software adatto. Intanto Skype sbarca in Cina adattandosi alle leggi locali, e la Thailandia attiva la censura di Twitter per proteggere la famiglia reale.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

L'FBI vuole controllare tutti i social network, dal potente Facebook all'anziano MySpace, passando per il dinamico Twitter. Il bureau ha pubblicato un documento con cui cerca professionisti e aziende capaci creare il software necessario. L'obiettivo è tecnicamente ambizioso: raccogliere un'incredibile quantità di dati non strutturati, e organizzarli per trovare informazioni potenzialmente pericolose.

Gli investigatori vogliono un software capace di cercare su tutti i social network basandosi su determinate parole chiave, che possa fare un'analisi semantica dei testi, individuare tendenze,  incrociare dati geografici, restringere il campo a singoli utenti o gruppi. E che dia agli agenti la possibilità di manipolare le ricerche e aggiungere keywords in ogni momento, alla ricerca di risultati migliori.

Agenti FBI, la foto del profilo su Facebook

Il documento parla di una ricerca negli elementi "pubblicamente disponibili", e lascia pensare (sperare?) che Facebook e gli altri possano porre dei limiti agli sguardi indiscreti degli agenti in abito grigio, ma la notizia suscita comunque una certa preoccupazione.

Sì perché se da una parte l'obiettivo è prevenire attacchi terroristici o individuare pericolosi criminali, dall'altra è facile intravedere uno strumento per tenere sotto controllo potenziali movimenti di dissenso del tutto legittimi.

Insomma si parla ancora di censura potenziale; subdola in questo caso, come si addice ai Paesi democratici. Più palese come sappiamo è invece la censura cinese, a cui anche Skype ha deciso di adeguarsi. La nota applicazione VoIP filtrerà termini sensibili per Pechino come "Dalai Lama" o "Piazza Tiananmen" nei messaggi testuali, che non saranno visualizzati all'interno del territorio cinese.

In altre parole se qualcuno dall'Italia scrive a un utente cinese "Il Dalai Lama è in visita", dall'altra parte del mondo non arriva nessun messaggio. Si tratta di adeguarsi alle leggi locali, come spiegano i dirigenti di Tom Online (Joint Venture con cui Skype è presente in Cina). "Potrebbero anche non piacermi le leggi e le regole in UK o in Germania o negli Stati Uniti, ma se faccio affari lì devo adeguarmi. Posso cercare di fare pressioni per ottenere una modifica delle leggi, ma devo rispettarle. La Cina non è diversa in alcun modo".

Anche la CIA lavora al controllo dei social network

Spiegazioni che non fanno una piega;  ma è difficile vedere allo stesso modo una legge che voglia prevenire le truffe e che invece punta a prevenire il libero pensiero.

Sempre dall'Asia, infine, ci giunge notizia della prima effettiva applicazione delle nuove risorse tecnologiche offerte da Twitter. Sarà la Thailandia il primo Paese a sfruttare la possibilità di filtrare i tweet su un certo argomento o da parte di un certo utente, in questo caso per bloccare e prevenire il reato di "lesa maestà". Un reato che - visto con gli occhi di un cittadino occidentale – sembra davvero un anacronismo perfetto per evitare di far sentire le "voci scomode".

Di fronte a queste notizie è facile gridare allo scandalo, indignarsi per il potente tsunami di desideri censori che stiamo vivendo (dalla legge SOPA all'emendamento Fava, dall'HADOPI francese alla chiusura di Megaupload). E però c'è una certa incoerenza che merita una riflessione: da una parte chiediamo e pretendiamo che Facebook, Google e gli altri rispettino con rigore le "nostre" leggi quando si parla di sicurezza, di dati utente o di concorrenza; dall'altra vorremmo che violassero quelle di altri Paesi in nome della libertà.

Una dicotomia che sembra irrisolvibile: o si dà a un'azienda libertà assoluta, o le si chiede di rispettare le regole. Tertium non datur direbbe qualcuno, ma forse una terza via c'è, e sarebbe chiedere a queste aziende di fare ciò che predicano, e cioè mettere le persone al centro di tutto.