La lezione del cinema britannico anni '90

Dagli anni '90 fino ad oggi, il cinema britannico è mutato notevolmente. Quali sono i principali segni di questo cambiamento?

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a cura di Livia Soreca

Chi non ha mai pensato almeno una volta "ma non si stava meglio prima?" guardando qualche film o serie TV di oggi? Con l'uscita di Wedding Season su Disney Plus, si è riflettuto molto su come il cinema britannico sia mutato nel tempo, e non sempre in senso positivo.

A volte si ha una strana impressione, come se l'enorme filmografia di quel decennio sia un filone a sé, una parentesi cristallizzata nel tempo e uno spartiacque indissolubile tra il prima e il dopo. Capita spesso di dire "avrebbe avuto senso solo negli anni '90" intorno ad opere che, nel tentativo di guardare indietro, tradiscono un modo di fare cinema che ormai risulta quasi improponibile, fuori contesto, fuori tempo. Ma ha senso parlare di un vero e proprio "passato vs presente"? E, soprattutto, questa bolla cinematografica è da guardare negativamente o con la nostalgia di una grande epoca?

Due film capi saldi degli anni novanta

Se si pensa al cinema britannico dei primi anni '90, non sempre ci si riferisce ad un periodo roseo. Se da un lato le sale del Regno Unito tornano a riempirsi, dall'altro sono pochi i prodotti cinematografici che raggiungono dati significativi sul mercato. Quel che resta del giorno (1993) di James Ivory è una delle più grandi eccezioni: con 21,9 milioni di dollari negli Stati Uniti e innumerevoli nomination (Oscar, Golden Globe, David di Donatello, Nastro D'Argento e tanti altri), si aggiudica persino una posizione nella BFI 100, la lista dei cento migliori film britannici del XX secolo. D'altronde come non potrebbe, grazie non solo alla regia ma anche alla magistrale interpretazione di Anthony Hopkins, molto apprezzata dalla critica.

La seconda metà di questo discusso decennio è invece battezzata da quello che diventerà presto un grande classico. Si tratta di Quattro matrimoni e un funerale (1994) di Mike Newell, proprio lo spunto scelto dalla già citata serie Wedding Season. Precursore di film successivi presto destinati a diventare dei cult ancora oggi, vede attori e attrici come Hugh Grant e Andie MacDowell nel fiore dei loro anni e della loro carriera: una coppia pronta a divenire iconica. Anch'esso è inserito nella BFI 100 nel 1999 e si aggiudica il 23° posto.

I generi del cinema britannico

Il cinema britannico - e insieme ad esso quello internazionale - associa agli anni novanta un vasto insieme di generi cinematografici, tra i più disparati e differenti tra loro. Dal dramma alla fantascienza, dal new gangster al thriller psicologico.

Il pubblico manifesta una profonda attrazione per i cosiddetti film in costume o film d'epoca, chiaramente sulla storia e la cultura del Regno Unito, nata subito dopo il successo di La pazzia di Re Giorgio del 1994, diretto da Nicholas Hytner e presentato al Festival di Cannes un anno dopo. Si ricordano grandi successi come Ragione e Sentimento (1995), Emma (1996), gli acclamatissimi Shakespeare in Love (1998) ed Elizabeth (1998), e tanti altri.

Diversi modelli di commedia

Un sottogenere molto caro al pubblico britannico è quello della cosiddetta true comedy, dalla comicità schietta e diretta. Spopolano film come Full Monty - Squattrinati organizzati (1997) di Peter Cattaneo o, nello stesso anno, Febbre a 90° di David Evans, tratto dall'omonimo romanzo di Nick Hornby, che vede come attore protagonista un giovanissimo Colin Firth.Ancora, perché non citare il regista Guy Ritchie con la sua commedia thriller. Egli esordisce al cinema nel 1998 con Lock & Stock - Pazzi scatenati, unendo un sottile e brillante umorismo all'azione, in un contesto che riflette la vita nei sobborghi del Regno Unito. Egli tornerà sulla stessa linea nel 2000 con Snatch.

È verso una simile direzione che si inserisce il regista britannico Danny Boyle, con quello che sarà destinato a diventare un vero cult: si parla, chiaramente, di Trainspotting (1996), un film che unisce quel sottile velo di humor ad una realtà drammatica, creando un prodotto quasi grottesco, da sempre apprezzato dal pubblico e dalla critica. Si aggiudica, infatti, una buona posizione nella BFI 100.

Quattro matrimoni e un funerale, vero capo saldo, getta le basi per una tendenza che diventa ben presto l'essenza stessa della produzione britannica: la commedia romantica. Si potrebbe parlare di un vero e proprio schema; e se da un lato esso crea intrecci non troppo dissimili - da qui una serie di cliché -, d'altro canto dà vita ad una vasta filmografia che lascia presto il segno. Basti pensare a film come Notting Hill (1999), ancora con Hugh Grant e, stavolta, una giovanissima Julia Roberts.

I riflessi negli anni duemila

Si tratta di racconti certamente non troppo sofisticati, dotati di una semplicità che ad un certo pubblico di oggi sembrerebbe quasi sciocca. Eppure questo schema ricorrente trova un'ottima accoglienza nei primissimi anni del duemila. Un solo titolo, Il diario di Bridget Jones (2001) di Sharon Maguire - torna un giovane Colin Firth insieme a Renée Zellweger - riesce a parlare da sé. Rivisitazione in chiave moderna di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, questa commedia sentimentale riesce davvero a riadattare la narrativa di un tempo, attraversare le tendenze del decennio precedente e riproporle al pubblico. Nasce qualcosa di nuovo e originale, tuttora iconico. Persiste un umorismo leggero che non invecchia mai; sagace, mai eccessivo o ridondante, né demenziale, capace ancora di strappare più di una risata.

L'errore dei nostri giorni

Ma perché, allora, se si prova a fare un simile esperimento nel 2022, questo si rivela quasi sempre un fiasco totale? In trent'anni, qualunque sia il genere cinematografico, gli elementi del film-making variano in misura esponenziale. Ad una sceneggiatura più lineare si sostituisce quasi sempre il gusto per l'intricato e il particolare, spesso cadendo in un errore fatale: a volte la risposta giusta è quella più semplice. Ci si impelaga in trame complesse, raccontate in maniera ancor più complicata. Finché funziona, bene... Ma se alla fine si rivela un'iperbole non necessaria e disfunzionale?

La ricerca della spettacolarità si riflette poi nella componente artistica; ad esempio, una fotografia ancor più ricercata, con effetti visivi sempre più sofisticati, talvolta sovrasta persino la storia che un film vuole raccontare. È come se, ogni tanto, ci fosse una sorta di battaglia implicita per aggiudicarsi il premio per il prodotto più sorprendente dell'anno, con una voglia matta di strafare. L'opera più originale diventa impenetrabile, come se poi fosse davvero possibile evitare di citare la cinematografia preesistente. Quella più esteticamente appagante è un piacere per gli occhi, tuttavia rischia di sottovalutare un buon racconto. I più nostalgici potrebbero sentire la mancanza di quei plot semplici, efficaci, narrati con una buona regia, così come gli anni '90 si sono sempre proposti di fare, sfruttando i mezzi a disposizione.

La nuova commedia: un tasto dolente

Se si è detto che il cinema britannico esprime sé stesso con la commedia, romantica o meno, bisogna ammettere che, nel corso del tempo, il senso dell'umorismo subisce un declino a tratti imbarazzante. Sarà la tendenza a far sempre troppo, sarà che certe battute e freddure non fanno ridere, ma la commedia contemporanea subisce un tracollo, sempre dovuto alla spasmodica voglia di strafare. Insomma, si parla pur sempre del Regno Unito che, negli anni novanta, fonda la propria comicità non solo su opere già citate, ma anche su personaggi iconici come Mr. Bean, coinvolgendo dunque non solo il cinema ma anche la serialità televisiva. Quest'ultima offre allo spettatore un particolare tipo di ilarità che non si trova quasi più, legata addirittura alla commedia slapstick del cinema muto, ed è forse un bene proprio per quella sorta di cristallizzazione di cui si è parlato pocanzi. Dunque è tempo di creare una comicità nuova, fresca; bisogna aggiornarsi, evolversi, ma questa celebrazione dell'esagerazione non riesce a convincere tutti.

Quando poi la commedia di oggi incontra altri generi e si unisce ad essi, è proprio in questo momento che si intuisce come alcune trovate proprio non funzionano. I film in costume continuano ad essere una forte passione per serie TV (come Downton Abbey: qui la Collezione Completa) e per il cinema britannico. La Favorita (2018) di Yorgos Lanthimos, è un'opera in costume grottesca, emblema dell'unione tra il dramma storico e quel pizzico di comicità: una formula ormai indissolubile. Se da un lato abbiamo un valido prodotto in senso lato, positivamente accolto dalla critica, dall'altro è difficile negare la presenza di un umorismo che tradisce quel filone tanto amato dal pubblico inglese. E quella capacità di arricchire con armonia un film storico come Shakespeare in Love con quell'umorismo piacevole e leggero, ora diviene voglia incontrollata di suscitare il riso, cadendo in un eccesso talvolta persino sgradevole.

La serialità televisiva britannica

Volendo rispondere alla primissima domanda qui posta, è impossibile parlare di "bene" o "male" rispetto al passato o al presente. Per intendersi, non è certo tutto da buttare. Nell'ultimo decennio il cinema e soprattutto la serialità televisiva britannica hanno donato al pubblico interessanti progetti: da una sceneggiatura unica nel proprio genere ad una serie di estetiche spettacolari. Sarebbe folle nominarli tutti: Sherlock (2010), Fleabag nel 2016 insieme a The Crown - è sempre vivo il legame con la storia inglese. Ancora Good Omens (2019), che vede come protagonista l'amato David Tennant, già nel cuore del pubblico inglese grazie a Doctor Who nei primi anni duemila.

Un'altra opera interessante, conclusa da poco, è la serie spy-thriller Killing Eve, la quale appartiene ad un altro genere caro alla tradizione britannica e che, con Sandra Oh e Jodie Comer, unisce la tensione ad uno humor leggero e sofisticato, non certo come quello degli anni '90 ma nemmeno simile ad esperimenti odierni fallimentari. È qui che, dunque, si pone la nuova serie inglese su Disney Plus. Wedding Season prende come modello Quattro matrimoni e un funerale di Newell. Anzi, essa vuole copiare quello schema narrativo che funzionava all'epoca ma che, adesso, perde il proprio senso d'esistere, specie se applicato a quella voglia di strafare e di esagerare e a quella comicità così eccessiva da essere ormai quasi inopportuna.

A conferma di ciò che si è detto per il cinema, anche nelle serie TV si trovano battute che spesso non fanno poi così ridere, situazioni inverosimili e decontestualizzate, come la volontà di suscitare il riso persino in un momento in cui il carattere thriller, più serioso, dovrebbe essere il vero protagonista. Una narrazione così altalenante e così piena di flashback da far sentire la mancanza di una TV semplice, di facile lettura, priva di quei virtuosismi attraverso cui non ci si riesce a destreggiare come si crede o come si vorrebbe. E quando non si tratta più di un lungometraggio bensì di tanti episodi dalla durata di un'ora ciascuno, quella che poteva essere una piacevole visione si trasforma in un faticoso processo di decodificazione e metabolizzazione. Anche stavolta, così come nel cinema, mentre qualcosa evolve, qualcos'altro rischia la devoluzione, come se nello smanioso tentativo di puntare sempre più in avanti ci fosse una trascuratezza di aspetti ed elementi fondamentali che, invece, gli anni novanta avevano bene in mente.

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