Howard e il Destino del Mondo: quando la Marvel fallì al cinema

Howard del destino del mondo: come il primo cinecomic Marvel rischiò di fare morire un genere cinematografico sul nascere.

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a cura di Manuel Enrico

Era il 1 agosto 1986 quando le sale americane accolsero Howard The Duck (in italiano Howard e il destino del mondo), film che nonostante le speranza della Marvel divenne per decenni un esempio su come non realizzare un film tratto dai fumetti. La lezione di Richard Donner con il suo Superman, che a inizio anni ’80 aveva segnato un’epoca, parve essere completamente dimenticata, nonostante dietro questo particolare progetto ci fossero alcune delle personalità più in voga all’epoca. In principio fu un papero. Per quanto possa sembrare incredibile, in un periodo in cui gli eroi Marvel al cinema sono dei, supersoldati o uomini in armature hi-tech, il primo film ispirato a un personaggio della Casa delle Idee non fu uno dei pezzi da novanta, ma una figura poco nota che, incredibilmente, divenne il primo esperimento di cinecomics Marvel.

Pensando a Iron Man, Avengers o Endgame, pare impossibile che lo sfruttamento dei diritti di un personaggio Marvel possa essere malamente utilizzato. Se da un lato questo segna un punto a favore dell’ottima gestione del parco eroico della casa editrice americana attuale, dall’altro non può farci scordare come per anni si siano fatti tentativi in tal senso, una serie di timidi approcci che ci hanno regalato la trilogia di Blade con Wesley Snipes ma anche un dimenticabile David Hasselhoff nei panni di Nick Fury. Parlando di trasposizioni cinematografiche, Howard e il destino del mondo rimane ancora oggi il peggiore esperimento in tale senso.

Ma cosa è andato storto in questo film?

Howard: dal fumetto al cinema

Domanda di non semplice risposta. La prima perplessità è proprio la scelta del protagonista, un volto certo non di primo piano nel ricco parterre degli eroi marveliani, che poteva vantare ben altri miti con cui iniziare un progetto serio di serializzazione cinematografica. Le esperienze passate nel comparto televisivo, dove era già arrivati con alterne fortune Spider-Man, Capitan America e Hulk sembravano dimostrare come ci fosse un certo interesse per i supereroi, e l’incredibile successo del Superman di Donner sembravano indicare che i tempi fossero maturi per portare i metaumani dalla carta dei comics sul grande schermo dei cinema.

Dal punto di vista dei comics, i nuovi slanci narrativi stavano portando i personaggi dei fumetti a uscire dalle ultime vestigia della Silver Age, liberandoli finalmente dai limiti del Comics Code Authority e portando il lato umano dell’eroe in primo piano, anche lanciandosi in disamine crude del lato oscuro dell’eroismo. In questi anni nascono piccole perle come Il demone nella bottiglia, Watchmen o Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, che incarnano la volontà degli autori di ritrarre con maggior attenzione la società contemporanea, andando oltre il concetto di eroi puri. Una visione che, in un certo senso, contrasta con l’immagine di purezza data a Donner dal suo Superman, e che, volendo, potrebbe essere parzialmente responsabile della scelta di Howard come protagonista di un film, visto che era il perfetto rappresentante di un tratto particolare dei comics: la satira.

Quando Steve Gerber e Val Mayerik fecero esordire il loro Howard il papero nel 1973, all’interno di Adventures into Fear, non potevano immaginare che sarebbe stato eletto come biglietto d’ingresso a Hollywood per la Marvel. Sboccato, irriverente, ai limiti del consentito dal Comics Code Authority, Howard è uno strumento di satira feroce, quasi un antenato di Deadpool, capace di cambiare registro narrativo da un numero all’altro, mantenendo inalterato solamente il suo carattere dissacrante. D’altronde, da un papero antropomorfo accanito fumatore di sigari non si poteva chiedere altro, così come era impensabile non immaginare che la Disney non intentasse una causa milionaria, accusando la Marvel di plagio per avere utilizzato il suo Paperino come modello. Che si risolse in modo a dir poco esilarante: in una storia, emerse il problema dell’assenza dei pantaloni nel mondo di Howard, una rivelazione che portò all’introduzione di questo capo d’abbigliamento, che distinse in modo più marcato il papero marveliano dal suo simile disneyano.

Basterebbe questo a far comprendere come Howard fosse il personaggio meno adatto a conquistare il grande schermo, in un periodo in cui la società americana era attraversata da tensioni sociali forti che mal si conciliavano con intenti parodistici o di critica, tipici delle prime pubblicazioni di Howard. Una caratteristica che però attirò l’attenzione di un nome che in un quel periodo era considerato una delle stelle del firmamento hollywoodiano: George Lucas.

Un’esperienza paradossale

Che Lucas fosse un appassionato di fumetti non è certo un mistero. Il suo Star Wars nasce come ripiego per non essere riuscito a produrre un film sul suo eroe preferito, Flash Gordon, così come alcune scene di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta sono un omaggio a storie celebri dei fumetti Disney, come Zio Paperone e l’oro di Cibola. Dopo l’incredibile successo di Una Nuova Speranza e del primo capitolo delle avventure di Indiana Jones, Lucas era diventato un regista molto amato ad Hollywood, parte di quella combriccola di cineasti tra cui spiccavano Scorsese, De Palma e Coppola che venne ribattezzata New Hollywood, per la sua verve innovativa.

Per Lucas, la possibilità di lavorare su un personaggio irriverente come Howard è una tentazione molto forte, che prende inizialmente la forma di un film animato rivolto a un pubblico adulto, sulla scia di Heavy Metal (1981). L’animo ribelle tipico della visione underground degli eighties è perfetto per un’idea del genere, ma in breve la Universal spariglia le carte uscendosene con la brillante idea di trasformare il concept di Lucas in un film per famiglie, in modo da intercettare i gusti di un più ampio target. La mentalità della major si impone sulla visione creativa di Lucas, portando a uno stravolgimento del progetto, un cambiamento troppo radicale e che diviene il principale responsabile della nascita di un film tutt’altro che memorabile.

Dovendo realizzare un film con attori in carne e ossa, Lucas decide di rivolgersi all’amico Willard Huyck. Assieme a Huyck entra nel progetto anche la moglie Gloria Katz, che Lucas conosce avendo studiato con entrambi alla University of South California e dopo precedenti collaborazioni per due suoi film, American Graffiti e Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta. Huyck e Katz curano quindi regia e sceneggiatura, cercando di dare un senso a quello che sta diventando un progetto sempre più folle. Talmente folle che nemmeno John Landis, abituato a dirigere pellicole come Blues Brothers e Animal House, volle dirigerlo, con buona pace dell’amicizia con Lucas.

La scelta di passare a un live action è dovuta anche alla presenza di Lucas, che con la sua Industrial Light & Magic ha mostrato grandi cose in Star Wars, L’Impero colpisce ancora e Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta. Ma realizzare un papero di 90 centimetri che si muove per le scene è tutt’altra cosa, anziché optare per gli animatronics Luca decide di sfruttare nuovamente i suoi contatti con la comunità degli attori nani, che ha spesso preso parte ai suoi film (basti pensare agli Ewkoks), e riuscendo a convincere l’attore Ed Gale, già interprete di Chucky nell’omonimo film horror, a vestire le piume di Howard.

Solo la testa di Howard venne realizzata con un animatronic, richiedendo cinque addetti che muovessero tutti gli ingranaggi necessari per dare espressività al papero. Ma il costume in cui recita Gale è incredibilmente complicato e mal realizzato, tanto che Tim Robbins, che in Howard e il destino del mondo ha una parte piuttosto divertente, non ha mai fatto mistero di come questo dettaglio fosse uno dei grandi problemi del film

“Sicuramente si poteva fare di meglio. Sin dal primo giorno, ci siamo resi conto che fosse un’anatra non adatta al periodo. Non tanto gli attori nel costume, quanto il design di Howard e la caratterizzazione del personaggio”

In effetti, Howard non aveva pressoché nulla della sua controparte cartacea, dando vita a un personaggio poco affascinante e che non riusciva a entrare in sintonia con nessuna delle fasce anagrafiche a cui puntava la Universal. Se nei comics la sua spalla, Beverly Switzler era una ex pornodiva salvata dalla schiavitù di un potente stregone alieno da Howard, nel film il suo ruolo venne riscritto rendendola la voce di un gruppo rock, le Cherry Bomb, affidando il suo volto a Lea Thompson, sperando di sfruttare la sua popolarità recente guadagnata in Ritorno al Futuro.

Howard e il destino del mondo: creare il mondo dei paperi

Anche Duckworld, il suo mondo di origine, non mostrava tratti che aiutassero a completare la sua caratterizzazione. Volutamente simile alla Terra, il pianeta dei paperi è contraddistinto da giochi di parole legati a elementi culturali del periodo, come la birra Birdweiser, al posto della Budweiser, o i poster di film celebri riletti in chiave volatile, con Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta che diventa Indiana Drake e gli allevatori della cicogna perduta (Breeders of the lost stork), creato dagli stessi autori di Becchi (Beaks, anziché Shark, Lo Squalo) e Guerre del Pollame (Fowl Wars, anziché Star Wars). Piccoli inside jokes che potevano essere colti da veri maniaci del dettaglio, ma che non riuscivano a dare sostegno a un film che, anche come trama, mostrava diverse lacune, una su tutte l’apparente normalità con cui i terrestri accolgono Howard.

La colpa non è solamente della sceneggiatura, ma anche di tempi di lavorazione fortemente condizionati dalla realizzazione di effetti speciali e riprese in stop motion che portano via intere giornate di lavoro e richiedono spesso di riscrivere la sceneggiatura, quando la realizzazione di un particolare evento si rivela impossibile. Nemmeno la leggendaria esperienza di Philip Tippet, riconosciuto maestro del settore premiato pochi anni prima per il suo lavoro in Il Ritorno dello Jedi, riesce ad avere ragione di questa impresa fallimentare.

Con il crescere dei problemi, lievitavano anche i costi, e la Universal, dopo avere inizialmente creduto molto in Howard e il Destino del mondo, cominciò a ragionare in termini diversi: salviamo il salvabile. La scarsa credibilità del film aveva spinto già uno sponsor, la Budweiser, a rinunciare ad avere il papero come testimonial, una spia d’allarme che convinse la major a imbastire una campagna marketing atipica.

La scarsa qualità del lavoro fatto per realizzare Howard, infatti, portò a una scelta senza precedenti: non si sarebbe visto il protagonista nel materiale promozionale. Tutti i poster del fim, infatti, contengono solo una parte del corpo di Howard, e nelle immagini con cui veniva presentato alla stampa non figurava mai in modo riconoscibile, ma sempre coperto da qualcosa, che fosse un giornale o vistosi occhiali scuri.

Pur di non mostrare chiaramente il protagonista di Howard e il destino del mondo, dalla major arrivò un’idea insolita: la Ducks Calls. In pratica, una segreteria telefonica che rispondeva al numero 1-900-410-DUCK, grazie alla quale gli interessati poteva ascoltare, al modico prezzo di due dollari al minuto, il buon Howard presentare la trama del film, oltre agli altri personaggi, che, tramite un umorismo dozzinale, cercava di suscitare l’interesse del pubblico. Esperimento tentato due anni prima dalla produzione di Ghostbusters, che ebbe, contrariamente a Howard e il Destino del mondo, un successo decisamente superiore.

Anche sotto questo aspetto, dunque, si cercò di limitare i danni, consci di come Howard e il Destino del mondo fosse un progetto destinato al fallimento.

Howard e il destino del mondo: un cult incompreso?

Piagato da tutte queste vicissitudini, alla sua uscita al cinema Howard e il destino del mondo si rivelò un flop clamoroso. Anche economicamente, visto che Lucas, che aveva appena ultimato di creare il suo Skywalker Ranch, contava sugli incassi del film per rimettersi in sesto, ma questa speranza venne infranta dallo scarso successo della pellicola. Delusione che costrinse Lucas a vendere la divisione di animazione in CG della LucasFilm, che venne acquistata per un valore decisamente superiore da un caro amico di Lucas, come personale supporto al regista in difficoltà. Il fatto che si trattasse di Steve Jobs e che da quell’acquisizione sia nata la Pixar Animation Studios dovrebbe esser sufficiente a riabilitare il buon nome di Howard e il Destino del mondo.

Che, anni dopo la sua uscita, può esser giudicato in modo meno severo. Nonostante diverse brutture, questo cinecomic ha comunque un proprio fascino, fatto di battute gradevoli e di alcune trovate interessanti, capace di veicolari messaggi che per l’America del periodo non era scontati (dal razzismo al ruolo ) o di deridere i costumi della società del periodo, dalla versione pennuta di Playboy all’eccesso di alcolici. Tratti sociali distinguibili, ma che non furono sufficienti a salvare Howard e il Destino del mondo dall’opinione secca del creatore del personaggio, Steve Gerber, che anche anni dopo non aveva smaltito la propria delusione:

“Che posso dire? Fa schifo. Guardandolo ora, dopo undici anni in cui sono usciti così tanti film peggiori, non è così deprimente come le recensioni possono spingerci a pensare. Ancora sono evidenti grossi problemi, soprattutto il costume da papero e la voce ridicola. Ho apprezzato le perfomance di Jeffrey Jones, Tim Robbins e Lea Thompson, comunque. Lea non stava interpretando la ‘mia’ Beverly, ma lo ha recitato comunque bene il ruolo che per come è stato scritto”

A giochi fatti, anche Lucas, nel 2015, durante una presenza al Tribeca Film Festival, mentre giravano voci su un possibile remake del film, ammise che Howard e il Destino del mondo era un film sbagliato, con l’errore principale di aver creduto che mettere un uomo in un costume da papero potesse funzionare. Un pensiero incomprensibile che non è stato certo seguito da James Gunn, quando in Guardiani della Galassia ha fatto esordire nel Marvel Cinematic Universe, reputando giusto dare al papero una degna rappresentazione dopo il suo deludente exploit cinematografico. Una presenza che è stata poi bissata in Avengers: Endgame, dove Howard compare nella scena dell’adunata finale degli eroi.

A distanza di anni, e dopo avere rivisto Howard e il destino del mondo grazie alla sua presenza nel catalogo di Amazon Prime Video, bisogna ammettere che tutti i difetti da sempre associati alla pellicola sono innegabili, ma sono anche parte del fascino di questo film, uno di più appassionanti guilty pleasure legati al mondo Marvel. Fortunatamente, pur non venendo ricordato come uno dei film tratti da fumetti da ricordare, Howard e il Destino del mondo non è stato la lapide dei cinecomics, ma ha indicato ai futuri registi quali errori non fare, una lezione perfettamente appresa da Tim Burton che nel 1989 stregò il mondo con il suo Batman.