Tim Burton: il regista del grottesco e del fiabesco

Tim Burton è il regista del grottesco e del fiabesco, di cui vi parliamo qui in attesa del suo prossimo titolo in arrivo: Mercoledì.

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a cura di Rossana Barbagallo

Lui è il regista degli ultimi, dei dimenticati, degli incompresi, dei “mostri” e dei sognatori. Stupefacenti mondi macabri e grotteschi hanno trovato posto nella sua produzione accanto a visionari scenari di scintillante vitalità. Nei film che ha diretto (e in quelli ai quali ha collaborato) è riuscito a trasfondere in egual misura avventura e malinconia, bizzarro ed emozione, sentimenti luminosi in atmosfere oscure. Tutto sotto un unico comune denominatore: l’immaginazione. Il suo nome è Tim Burton ed è l’artista dietro la creazione di personaggi tanto stravaganti e tanto umani da essere diventati dei mostri sacri nel cinema, inseriti in contesti spesso dark, talvolta macabri e in alcune occasioni incantati e quasi fiabeschi, ma sempre portentosi scenari di storie che, in poco meno di quarant'anni, hanno toccato le corde dei nostri sentimenti nei modi più inaspettati e immaginifici. Nell'attesa di vedere il regista di Burbank come ospite della kermesse Lucca Comics and Games 2022, dove presenterà il suo lavoro sulla serie Netflix in arrivo, Mercoledì, conosciamo meglio Tim Burton e la sua produzione dagli esordi fino ad oggi.

Tim Burton: il regista del grottesco e del fiabesco

Fuori dal mondo Disney, dentro al mondo dark

I miei genitori mi hanno raccontato che prima ancora di cominciare a parlare stavo ore davanti ai film di mostri, senza averne alcuna paura. L’emozione più forte l’ho provata la prima volta in cui ho visto precipitare King Kong dall’Empire State Building. Ancora oggi quando alla fine di un film il mostro muore, mi commuovo sempre. Perché nel corso della proiezione siamo diventati amici. Da bambino mi sentivo consolato da Frankenstein: era come me, inadeguato e incompreso.

Non sarà forse per i suoi personaggi ugualmente inadeguati e incompresi che Tim Burton è riuscito a rappresentare nei suoi film un po’ tutti noi e ad emozionarci sempre con le sue storie? Oggi il talento di Tim Burton è un fatto assodato, che prescinde l’apprezzamento o meno del lavoro svolto finora da questo poliedrico regista. Un talento che nasce nel mondo inintelligibile della fantasia per diventare la concretezza quotidiana di sentimenti umani che, spesso intraducibili a parole, diventano immagini, creature e scenari, capaci di riflettere il volto degli individui e accoglierli, spaventarli, sorprenderli, divertirli. Ai suoi esordi nel mondo del cinema, però, l’inventiva di Tim Burton non viene immediatamente compresa.

Nato nel 1958 a Burbank, in California, Burton cresce armato di matite e colori e si dimostra un abile disegnatore dalla prolifica vena artistica. Oltre al disegno, il giovane Burton ama il cinema, soprattutto quello che ha per protagonisti mostri, personaggi grotteschi e storie dell’orrore (prediligendo Edgar Allan Poe), con una particolare ammirazione per l’attore Vincent Price che diventa il suo idolo indiscusso. È un’infanzia trascorsa in solitudine tra le mura di casa, tuttavia ciò non impedisce a Tim Burton di esprimere il suo talento e l’amore per le sue passioni e, all'età di appena tredici anni, gira in Super8 il suo primo cortometraggio animato dal titolo The Island of Doctor Agor. Con il conseguimento di una borsa di studio, tra il 1979 e il 1980 Burton può inoltre frequentare il California Institute of the Arts e, a diciotto anni, viene assunto dalla Disney come animatore.

Questo “matrimonio”, però, non s’ha da fare. Il futuro regista lavora al film d’animazione Red e Toby Nemiciamici, pellicola tipicamente disneyana di amicizia tra una piccola volpe e un giovane cane da caccia. Lo stesso Burton percepisce che illustrare immagini tanto graziose non è nelle sue corde e, più avanti, anche la Disney non riesce ad allinearsi al lavoro del suo giovane acquisto, a seguito della produzione di Vincent: un cortometraggio in stop motion che Tim Burton realizza nel 1982 in omaggio al suo idolo, il quale partecipa al progetto. Vincent Price dà infatti voce al narratore della storia. Le atmosfere sono di chiara ispirazione espressionista di inizio secolo, i personaggi dall'aspetto grottesco, il bianco e nero dona una matrice cupa e orrorifica. Tutto ciò che possa esserci di più lontano dalle peculiarità della cinematografia Disney, la quale non apprezza dunque il lavoro di Burton. La separazione (più o meno) definitiva arriva nel 1984, con la realizzazione del cortometraggio Frankenweenie, ovvero la storia di un bambino che riporta alla vita il suo cane proprio come il dottor Frankenstein con la sua creatura. Disney dapprima bolla il corto con un divieto di visione ai minori di 14 anni. Poi dà il benservito a Tim Burton, che tuttavia ha ben chiaro il percorso che intende intraprendere e non interrompe di certo qui la sua carriera.

La firma gotica di Tim Burton

Sebbene Tim Burton dimostri fin dai suoi primissimi lavori il suo amore per le atmosfere gotiche e lugubri, il primo lungometraggio che lo vede impegnato come regista è una commedia luminosa e colorata, ovvero Pee-Wee’s Big Adventure. Chi l’avrebbe mai detto? Nel 1985, infatti, Burton stringe amicizia con l’attore Paul Reubens, noto per il suo personaggio Pee-Wee Herman protagonista del programma per ragazzi Pee Wee’s Playhouse. Reubens si dimostra particolarmente interessato al talento di Tim Burton e per questo propone il suo nome alla Warner Bros. per dirigere il primo film che lo veda protagonista: la storia di Pee-Wee che, dopo aver subito il furto della sua amatissima bicicletta, inizia a viaggiare in lungo e in largo per ritrovarla. È a questo punto, inoltre, che Burton avvia quello che diventerà un lungo e fortunato sodalizio con un compositore che sarà pressoché costantemente presente nei suoi progetti cinematografici: Danny Elfman, autore di colonne sonore che faranno la storia.

Non passa molto perché il regista accetti di dirigere un nuovo progetto per la Warner. Stavolta, però, apponendo quella che sarà la sua caratteristica firma gotica, bizzarra e grottesca. Si tratta di Beetlejuice – Spiritello Porcello, per il quale Tim Burton rivela il suo entusiasmo dopo aver letto il soggetto che gli viene proposto dalla casa di produzione, scritto da Michael McDowell. In Beetlejuice i protagonisti sono infatti una coppia di coniugi (Geena Davis e Alec Baldwin) che, dopo essere morti, continuano a vivere sotto forma di spiriti nella loro dimora. Qui vi si trasferisce una famiglia snob da New York insieme alla figlia goth (una giovanissima Wynona Ryder) che può vedere i due fantasmi e tenta di aiutarli a terrorizzare i propri genitori. A quanto pare, però, i due sono costretti a rivolgersi a un “bio-esorcista”: Betelgeuse, un laido ghoul che si sbarazza degli umani, interpretato da Michael Keaton. È forse questa la prima vera pellicola che consacra Tim Burton, grazie anche alla fama acquisita con il Premio Oscar al miglior trucco.

Forte del successo di Beetlejuice – Spiritello Porcello, Warner Bros. dà finalmente a Tim Burton il semaforo verde per partire con le riprese di un altro film che dal 1989 diventerà un cult, Batman, dopo varie vicissitudini che hanno visto la riscrittura della sceneggiatura da parte di innumerevoli autori per diversi anni. Infine, quella che ne esce vittoriosa è quella scritta da Sam Hamm e Burton dà il via al progetto, non senza però cadere in ulteriori polemiche: per il ruolo di Batman, il regista sceglie infatti Michael Keaton, con cui aveva lavorato per Beetlejuice, scatenando le ire dei fan che non ritengono l’attore abbastanza credibile per un ruolo tanto cupo e tenebroso. Eppure, Batman funziona. Vuoi perché infine la caratterizzazione di Keaton si rivela ottima. Vuoi per le atmosfere dark e gli scenari à la Metropolis di Fritz Lang che richiamano ancora una volta il gusto per l’espressionismo di Burton. Vuoi ancora perché, grazie alla presenza di Jack Nicholson nei panni di un folle e inquietante Joker che diventa uno dei villain più celebri del cinema, il film effettivamente risulta come una spettacolare quanto oscura riscrittura delle avventure fumettistiche, misteriosa ed elettrizzante.

Il successo della pellicola è tale, che la Warner Bros. intende affidare a Tim Burton anche la direzione di un sequel, tuttavia il regista impone una condizione: che possa avere un più ampio spazio di manovra nella strutturazione del progetto. Batman – Il Ritorno che scaturisce da questa nuova collaborazione è quindi forse anche più dark, oscuro e grottesco del primo film e, messa temporaneamente da parte la coloratissima nemesi di Batman che è Joker, i nemici inseriti da Burton per questo sequel sono il mostruoso Pinguino (Danny DeVito) e la sensuale Catwoman (Michelle Pfeiffer). Il film non ottiene gli stessi risultati del suo predecessore, ma si può negare oggi che sia un vero cult nella cinematografia inerente a Batman? Intanto, nel 1990, Tim Burton ha fondato una propria casa di produzione, la Tim Burton Productions, che gli consenta di disporre di una maggiore liberà d’azione nella creazione delle sue pellicole e così, nello stesso anno, realizza il primo film di cui scrive anche il soggetto. È la malinconica e commovente storia di Edward Mani di Forbice, in cui ritornano Wynona Ryder e il suo idolo di sempre Vincent Price, mentre per il ruolo del protagonista il regista punta su un volto nuovo e giovane che in quegli anni si sta facendo largo nel mondo del cinema e nei cuori delle giovani fan: Johnny Depp, con il quale Burton instaura una profonda amicizia e una collaborazione lavorativa duratura che vedrà l’attore presente ancora in molti dei suoi film. Edward Mani di Forbice si conferma, inoltre, come un piccolo capolavoro che, richiamando alla mente l’idea di una moderna creatura di Frankenstein, mescola atmosfere e personaggi lugubri ad una profonda tenerezza ed emozioni umane alle quali il pubblico non riesce a sottrarsi.

Scheletri, alieni, cavalieri senza testa e molto altro

Gli anni ’90 proseguono per Tim Burton sulla scia della creatività e del successo. Nel 1993 la sua fama è diventata già tale da spingere la Disney a riconsiderare il suo lavoro, producendo una pellicola basata su una sceneggiatura scritta dallo stesso regista. Si tratta di Nightmare Before Christmas, film d’animazione in stop motion diretto da Henry Selick, con l’ormai imprescindibile colonna sonora di Danny Elfman e la creazione, da parte dello stesso Tim Burton, delle figure da animare con la tecnica del “passo uno”. Lo scheletrico Jack Skellington protagonista di questo lungometraggio diventa in breve tempo un personaggio amato da tutti, sia grandi che piccoli, e la storia in cui è immerso è una vera, macabra e divertente favola che riunisce lo spaventoso immaginario di Halloween a quello festivo e gioioso di Natale. Una mossa geniale che si rivela vincente (e che in Italia giunge più sfolgorante che mai grazie al doppiaggio di Renato Zero per Jack). Sul piano privato, invece, questo è anche l’anno in cui Tim Burton divorzia dall'artista Lena Gieseke (con la quale era sposato dal 1989), per intraprendere una nuova relazione con la modella Lisa Marie (fino al 2001), che apparirà in piccoli ruoli nei suoi film.

Torna il bianco e nero nella regia di Tim Burton e torna anche Johnny Depp, nel 1994, con il film Ed Wood: una sorta di biopic dedicato ad Edward D. Wood Jr., considerato storicamente come uno dei peggiori registi della storia, ma per il quale Burton prova una grande ammirazione. Nei panni di Wood troviamo proprio Depp, affiancato qui da Martin Landau nel ruolo di Bela Lugosi, con il quale Edward Wood è stato realmente molto amico, e che vale all'attore un Premio Oscar come miglior attore non protagonista. Intanto, Tim Burton si impegna anche come produttore (ad esempio per James e la Pesca Gigante, ancora una volta film di Selick tratto dall'omonimo romanzo di Roald Dahl), tuttavia non smette di stupire il pubblico portando in sala una pellicola che, se da un lato sembra discostarsi dal suo stile gotico e dark, dall'altro riprende il gusto del regista per lo humor nero e la macabra ironia di personaggi grotteschi, come quelli che hanno fatto inizialmente la sua fortuna ad esempio con Beetlejuice. Stiamo parlando in questo caso di Mars Attacks!, film del 1996 con protagonisti dei bizzarri alieni provenienti da Marte per i quali Tim Burton si basa su una serie di figurine celebri negli anni ’60, le Mars Attacks della Topps. Nonostante i toni scanzonati del film, a esso partecipa un cast notevole composto da Jack Nicholson, Pierce Brosnan, Natalie Portman, Danny DeVito, Sarah Jessica Parker, Glenn Close, Martin Short e Michael J. Fox.

Si torna sempre, però, dove si è stati felici. E Tim Burton, cresciuto come un giovane solitario in compagnia dei film horror, è evidentemente nel suo elemento quando si tratta di proporre narrazioni prettamente gotiche. L’influenza dei mostri, del folklore, degli oscuri racconti dell'orrore, è sempre una costante per il regista, che nel 1999 dirige così Il Mistero di Sleepy Hollow, pellicola liberamente ispirata al romanzo La Leggenda di Sleepy Hollow, di Washington Irving. Qui, con protagonisti Johnny Depp, Christina Ricci e Christopher Walken, viene messa in scena la spaventosa storia di un personaggio che ha alimentato i racconti folkloristici fin dall'epoca medievale, ovvero il Cavaliere senza testa. Le atmosfere oscure e sovrannaturali fanno da sfondo alle indagini poliziesche compiute dal detective Ichabod Crane, sulle tracce di un presunto cavaliere senza testa che sta mietendo numerose vittime nel villaggio di Sleepy Hollow: una combinazione che decreta il successo della pellicola, vincitrice anche di un Premio Oscar alla migliore scenografia nel 2000.

Il nuovo decennio, si apre poi per il cineasta con altri due successi filmici. Nel primo caso, Il Pianeta delle Scimmie proiettato in sala nel 2001, l’accoglienza è stemperata da una critica che si attendeva di vedere sullo schermo un remake più fedele al film originale del ’68, tuttavia il titolo ottiene un ottimo riscontro commerciale e per Tim Burton è l’inizio di una nuova conoscenza che si trasformerà in breve tempo in matrimonio. Sul set de Il Pianeta delle Scimmie incontra infatti Helena Bonham Carter, che diventerà sua moglie e una presenza forte in alcune delle sue successive pellicole. Nonostante il divorzio che arriverà nel 2014, non c’è dubbio sul fatto che questa abbia rappresentato per lungo tempo una delle coppie meglio assortite del cinema. Il secondo lungometraggio che arriva al cinema è invece Big Fish (2002), il cui cast comprende Ewan McGregor, Billy Crudup, Albert Finney, Helena Bonham Carter, Jessica Lange, Steve Buscemi e Danny DeVito. I toni sono quasi fiabeschi e la trama (su una sceneggiatura liberamente ispirata dal romanzo Big Fish di Daniel Wallace) viene messa in scena con una grande sensibilità poetica, risultando in un film magico. Anche stavolta una pellicola di Burton viene nominata agli Oscar, con una candidatura per la miglior colonna sonora (firmata sempre da Danny Elfman).

Una vena poetica in un cupo immaginario

Molti dei più nostalgici non sono convinti dalla versione de La Fabbrica di Cioccolato che Tim Burton costruisce sulla base del romanzo di Roald Dahl, nel 2005: delusi dai toni cupi e da un’interpretazione di Johnny Depp nei panni di Willy Wonka che risente, nonostante l’ottimo lavoro svolto, dell’inevitabile confronto con il Wonka di Gene Wilder nella pellicola del 1971 diretta da Mel Stuart. La critica, tuttavia, è più incline a concordare sul giudizio positivo generale verso un altro film che Burton scrive e dirige nello stesso anno: La Sposa Cadavere, candidato agli Oscar come miglior film d’animazione. Un grande successo per il cineasta, che si trova nuovamente dietro la macchina da presa in un lungometraggio d’animazione in stop motion capace di esprimere pienamente lo stile di Burton. Il mondo dei vivi e quello dei morti si incontrano, tra luci e colori lugubri che tuttavia non riflettono l’animo sensibile dell’autore e l’amore di cui racconta: un film che, come era stato Edward Mani di Forbici, parla dei diversi, degli esclusi, dei dimenticati e del loro bisogno d’amore, nonostante tutto.

Non è un caso se Tim Burton viene premiato con il Leone d’Oro alla carriera, nel 2007: premio ampiamente meritato, alla luce dei successi cinematografici che hanno contribuito a creare un nuovo, fantastico immaginario collettivo. È nello stesso anno che Burton dirige per la prima volta un film musical, ovvero Sweeney Todd – Il Diabolico Barbiere di Fleet Street, sulla base del musical di Stephen Sondheim. Ampiamente apprezzato, peraltro, soprattutto grazie alle performance dei protagonisti Johnny Depp e Helena Bonham Carter nei ruoli di due perfidi assassini. Sembrano non esaurirsi inoltre la vena creativa del regista e la sua passione per i personaggi grotteschi ma carismatici, bizzarri ma ironici e capaci di creare dei veri legami con il pubblico, come avviene ad esempio con il suo Alice in Wonderland, nel 2010. Ancora una volta, è Johnny Depp a fare da cicerone al bizzarro mondo creato da Burton (sulla base del celebre romanzo di Lewis Carroll), nei panni di un Cappellaio Matto che, per certi versi, ruba la scena alla protagonista Mia Wasikowska. Un po’ meno apprezzato il successivo Dark Shadows, dove stavolta Depp è un vampiro che, dopo secoli, viene risvegliato negli anni ’70: gli incassi al box office, comunque, non decretano un flop ma superano anche le più rosee aspettative.

Nel 2012, invece, la Disney fa nuovamente dietrofront e quel Frankenweenie che tanto aveva fatto storcere il naso alla casa di produzione, ottiene il via libera per diventare un lungometraggio in stop motion. La poetica e la sensibilità che Tim Burton aveva dimostrato con il suo corto in bianco e nero, hanno modo di essere espresse a un livello più personale con questa nuova versione animata, benché il regista cerchi di mantenere inalterata la sostanza del progetto originale. I suoi “mostri” hanno modo di rivivere su schermo, con la promessa di emozioni dolci e profonde per il pubblico, tanto che il lungometraggio viene candidato agli Oscar come miglior film d’animazione. Nel 2014 Tim Burton si lancia poi ancora una volta in un biopic, Big Eyes, dedicato alla pittrice Margaret Keane, mentre nel 2016 dirige Miss Peregrine – La Casa dei Ragazzi Speciali, con protagonista Eva Green.

L’ultimo lungometraggio che vede Burton alla regia è Dumbo, del 2019: remake live action del celebre Dumbo disneyano distribuito al cinema nel 1941, che tuttavia in questo caso riceve pareri discordanti. È comunque piuttosto difficile non godere per troppo tempo dei progetti firmati da Tim Burton e, il prossimo 23 novembre, vedremo sui nostri schermi il suo nuovo titolo targato Netflix: Mercoledì, serie TV investigativa sovrannaturale dedicata alla primogenita della Famiglia Addams, in cui lo stile gotico, cupo e sottilmente umoristico del regista avrà modo di essere espresso per la prima volta in un prodotto seriale. Dopo aver dovuto abbandonare il progetto di un film in stop motion con protagonista la famiglia più bizzarra e macabra del mondo, Tim Burton potrà finalmente dedicarsi agli Addams con questo nuovo titolo, che seguirà i passi di Mercoledì mentre sarà impegnata a indagare sugli strani avvenimenti che stanno causando scompiglio nella sua scuola.