Cuphead: quando una formula perfetta definisce un capolavoro

Un nostro approfondimento completo alla scoperta del mondo di Cuphead, la tazzina più famosa del mondo dei videogiochi.

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a cura di Nicholas Mercurio

Cuphead non ha bisogno di presentazioni, ci teniamo sin da subito a ribadirlo. Nel panorama dei videogiochi, da sempre, l’autorialità è una cosa rara e sfuggente, non semplice da raggiungere e tanto meno da fare propria, assimilandola, facendola diventare parte integrante del proprio animo. Appartiene a pochi studi di sviluppo e ad altrettanti pochissimi autori che, pur cercando di cambiare e appassionare i giocatori, tentano di arrivare a uno scopo e centrare l’obiettivo semplicemente usando il loto talento. Non è facile pensarlo concretamente e realizzarlo, non quando parliamo di studi che da indipendenti diventano superiori per qualità e cura a tante altre case sviluppatrici di un panorama del genere, alle volte fin troppo saturo, molto spesso sprovvisto di reali sbocchi creativi e inevitabilmente lontani da quello che tutti cercano in un prodotto.

Cuphead, sviluppato da Studio MDHR, è un capolavoro intramontabile. Ci teniamo subito a sottolinearlo, e non è un segreto, d’altronde: nel corso di questi anni ha dimostrato quanto possa essere sfaccettato il metodo creativi, plasmando un game design e una struttura basata sulla semplicità ma comunque complessa da sviluppare. Le avventure di Cuphead e Mugman, dal lontano 2017, hanno appassionato una nutrita schiera di giocatori, convincendone tanti altri a unirsi in un mondo ben più folle e sfaccettato di quanto ci saremmo augurati. Sparare, correre, non farsi colpire e, nel frattempo, restare estasiati dalla cura, dal design e dalle idee di un team che ci ha riportato a una struttura ludica che pensavamo fosse ormai passata e non più realizzabile. Invece, a sorpresa, MDHR ha creato un mondo affascinante, variegato e fantastico, dove impersonare due tazzine ha significato tornare indietro nel tempo direttamente ai nostri ricordi fanciulleschi, mentre ingannavamo il tempo tra una morte e l’altra, consapevoli di dover imparare a sopravvivere.

Potremmo dire, infatti, che Cuphead è tutto fuorché un gioco facile da vivere, ma è inevitabile quando il game design si concentra tutto sugli scontri con i boss e in livelli Run and Gun, che si sono rivelati ben più complessi delle tante bossfight, in certe occasioni. È un approccio stilistico che, in passato, ci ha portato opere incredibili come Castlevania, Metroid e Sekiro: Shadows Die Twice, e tra i tanti Ninja Gaiden e Tenchu, sebbene siano opere nettamente diverse da Cuphead. Intanto c’è da dire che la produzione di MDHR si avvicina ai platform più intricati presenti sul mercato, con un sottilissimo margine d’errore, come Alex Kidd o Super Meat Boy, nonostante siano opere strutturate diversamente. Durante lo sviluppo di Cuphead, Studio MDHR non era sicura che un videogioco basato sulle bossfight e pochissimi livelli Run and Gun sarebbe stato accolto positivamente dai giocatori di tutto il mondo. D’altronde, stiamo parlando di un’opera che, senza mezzi termini, ci ha buttato nel bel mezzo dell’azione come se fossimo un qualunque ingrediente di una ricetta perfetta da scaldare in un calderone stracolmo di tante altre aggiunte sensate, con la sola differenza che non avremmo mai immaginato di finire in un turbinio di avvenimenti fuori dalla nostra portata.

In Cuphead abbiamo fallito, ci siamo rifatti le ossa e ripetuto all’infinito sequenze, azioni e boss non solo per superare i nostri limiti, ma perché Cuphead e suo fratello Mugman, i nostri protagonisti, erano finiti in un guaio che avrebbe potuto condurli verso una condanna ben più peggiore di quella che immaginiamo. I due fratelli, ritrovandosi a fronteggiare nientepopodimeno che il Diavolo in persona, hanno rischiato grosso e si sono fatti male innumerevoli volte, fronteggiando l’oscurità, le sue fiere e tutto quello che Studio MDHR ha deciso di mandare loro contro. Tutto questo per impedire che superassero le aree dell’isola di Calamaio, il mondo di gioco, salvandosi così dal debito con il Diavolo.

Sembra facile detta così, sia chiaro, ma non lo è per niente: cosa hanno affrontato i nostri due amici lo sappiamo sulla nostra pelle e conosciamo bene cosa voglia dire scendere nei meandri di un inferno sulla terra, provando a tirarsi fuori da esso prima che sia troppo tardi. Se nei cartoni ci siamo abituati ad affrontare il nemico a spada tratta e senza paura, in Cuphead abbiamo capito che i cattivi sono alle volte ben peggiori. Ma procediamo con ordine, dall’inizio delle nostre vicende, da un racconto che arriva da tempi ben più lontani. Dalla storia di un team che aveva un sogno e speranze che sperava di concretizzare. Come sappiamo, è riuscito a farlo.

Una narrazione classica e travolgente: come Cuphead si rivolge al pubblico

Tutto ha un inizio, uno svolgimento e una fine, e su questo, più o meno, possiamo concordare tutti. La storia di Cuphead ha origini lontane: è stata una creata da Chad e Jared Moldenhauer che, come i fratelli tazzina Cuphead e Mugman, hanno affrontato una lunga sfida di sviluppo e cura per vedere pubblicata la loro opera. Come accennavamo prima, la storia di Cuphead comincia nel modo più classico che esista, da un imbroglio e dalla negligenza di due giovanotti inconsapevoli dei pericoli che potrebbero trovare sul loro cammino, proprio come potrebbe accadere a noi. Finiscono in un casinò, un luogo di perdizione e lussuria, dove vincono, stravincono e sono convinti che niente potrebbe andare storto e che la vittoria sia assicurata.

Si immaginano lontano dall’Isola Calamaio, con nonno Bricco che coltiva il suo adorato orto, sonnecchiando tra una pausa e l’altra. Peccato che, come è inevitabile, le loro continue vittorie abbiano attirato l’attenzione di qualcuno non molto è molto predisposto a perdere e che preferisce vincere persino imbrogliando, uccidendo e pavoneggiandosi esageratamente con i suoi sottoposti.

Stiamo parlando del Diavolo, che approfitta della sicurezza delle piccole tazzine per proporre loro un ultimo tiro di dadi con una posta in gioco molto alta, ovvero la vincita totale in oro zecchino dell’intero valore del casinò. Un’offerta che allontanerebbe chiunque, ma Cuphead e Mugman, sicuri della vittoria, accettano. Soffiano il dado, sbeffeggiando l’oscuro signore, sicuri di vincere e non tradendo alcuna emozione. E invece falliscono, sbagliando il lancio, rischiando ora di perdere le loro anime e l’affetto del caro Nonno Bricco, inconsapevole dove siano finiti i loro tremendi nipotini. Imploranti, chiedono a Satana di essere indulgente, ed è che qui che inizia la nostra avventura nei panni dei nostri simpatici personaggi.

Non facendo per evitare di rovinarvi l’intera esperienza, sappiate soltanto che il viaggio delle due tazzine è lastricato di sofferenze e privazioni. Studio MDHR ha tratteggiato una narrazione tipica del genere, ispirandosi ai film di animazione più famosi e memorabili degli anni ’30, tirando fuori dal cilindro della creatività un videogioco che fosse capace di inscenare un racconto fanciullesco e al contempo maturo. Lo stile del racconto, non per niente ancorato a un concetto passato, non propone tuttavia la classica lotta tra bene e male, ma una storia di redenzione per salvarsi da un tremendo fato. Infatti Cuphead e Mugman, perdendo al gioco dei dadi, sono costretti a ritrovare le altre anime sparse per l’Isola di Calamaio e consegnarle al Diavolo prima che sia troppo tardi. Come è inevitabile, il loro viaggio parte dalla casetta nella foresta di Nonno Bricco, che risvegliatosi dal suo sonnellino pomeridiano, apprende l’amara notizia dalla due tazzine.

Prima di essere un videogioco complesso, Cuphead offre una storia con diverse sfumature e tante tematiche al suo interno, rappresentando ben più di una storia che vede due giovani costretti a sfuggire dal Diavolo. Il gioco dei dadi, che nel racconto si incastra con furbizia, è un ottimo pretesto per innescare dalle riflessioni. Ci domandiamo quante anime siano finite nel giogo spietato del Re Dado, sottoposto leale del Diavolo, nonché il suo sgherro più pericoloso e manipolatore di tutta Calamaio. Il personaggio, raccontato con cura e dovizia di particolari, rappresenta la malvagità che Cuphead e Mugman si ritrovano ad affrontare, consapevoli di aver commesso un errore madornale a causa della loro avarizia.

Nonostante siano giovani, capiscono di aver sbagliato ad essersi fidati di Satana e dei suoi accoliti, comprendendo all’ultimo cosa si sono trovati di fronte e tutte le altre incognite. Desideravano dimostrare, come tanti giovani, di essere all’altezza, nonché capaci di affrontare la vita e le loro sfumature con coraggio, pur fallendo nel tentativo. Se da una parte abbiamo un deterrente classico dei cartoni animati, dall’altra invece ci sono due fratelli che, capendo di essere stati ingannati, si ritrovano in un turbinio di eventi senza fine che potrebbero ingoiarli da un momento all’altro, facendoli finire nella voragine infuocata dell’inferno.

Si ritrovano perciò a viaggiare per Calamaio, non voltandosi indietro e avanzando, inconsapevoli degli orrori che li attendono. E diciamocelo, sono tanti e fin troppi, con una moltitudine di avversari tirati fuori direttamente dall’immaginario collettivo che riportano indietro nel tempo non vedendo l’ora di darci dei pugni ben assestati sullo stomaco, pronti a tutto pur di farci sentire sul filo del rasoio. La vita assume un significato particolareggiato nel mondo di Cuphead, dimostrandoci come ogni fallimento, alla fine, sia correlato al nostro successo in qualunque altro ambito. Cuphead parla, al contrario di molte altre produzioni, come sia importante riprendere in mano la propria esistenza senza lasciarla in mano all’inferno e ai suoi servi, lasciandosi andare ad alcune allegorie che approfondiscono ulteriormente il mondo di gioco.

Alle volte scegliamo di dare un’interpretazione differente rispetto alle opere che ci troviamo davanti e spesso accade che siano non soltanto il motore trainante di una struttura narrativa convincente e appagante. Il racconto di Cuphead si esprime con semplicità e tratta con umanità e spensieratezza dei temi seri e delle storie significative, che non vengono raccontate con frivolezze. Mentre avanzavamo nel mondo nell’isola di Calamaio, trovandoci di fronte nemici di ogni genere, siamo stati conquistati e coinvolti emotivamente dai dialoghi tra i protagonisti.

Non stiamo ovviamente parlando di chiacchierate profonde come ce ne sono tante nel panorama dei videogiochi, ma le parole scelte per descrivere ogni avvenimento erano azzeccate e calzanti quanto lo era l’intero contesto proposto per noi da Studio MHDR. Siamo stati coinvolti dalle parole, dalle espressioni facciali e dall’aggressività, dai toni affettuosi di Nonno Bricco verso i suoi nipoti alle parole piene d’odio del Diavolo e dei suoi accoliti. L’isola di Calamaio ci ha fatto anche conoscere dei personaggi sfaccettati e teneri, che sono stati posizionati nelle varie zone della mappa di gioco non soltanto come aggiunte o pretesti narrativi, bensì come presenze capaci di strappare un sorriso e persino una riflessione.

Molti di loro ci hanno guidato durante il nostro viaggio, esortandoci ad avanzare con cautela, preparandoci di conseguenza alle avversità. Avversità che, senza troppi giri di parole, sono rappresentati dai boss e dalle sequenze Run and Gun che rappresentano il punto nevralgico dell’intera struttura ludica dell’opera. Scegliere infatti di proporre un’avventura del genere in un contesto simile non è stata una scelta semplice e neppure scontata, perché si trattava di riscoprire il passato e di approcciarsi a un modo vecchio di proporre un’avventura con delle finalità differenti dalle altre presenti sul mercato, che, come sappiamo, è saturo di videogiochi di vario genere, incapaci alle volte di sapersi interfacciare con il grande pubblico in maniera varia. Cuphead, a riguardo, è riuscito a condensare al suo interno una storia interessante, amalgamandola in una succulenta ricetta funzionante, brillante e intelligente. Tuttavia, la sua storia è solo un contorno rispetto a quello che rappresenta davvero.

Uno stile di gioco folle: come Cuphead si approccia al giocatore con i suoi boss

Come accennavamo prima, sono i boss di Cuphead a rappresentare il punto nevralgico dell’esperienza, oltre alle formule classiche che contraddistinguono le sequenze Run and Gun. Inizialmente, il videogioco di Studio MHDR avrebbe dovuto trattare solamente degli scontri con i boss, non inserendo delle ulteriori aggiunte alla formula e concentrandosi appunto sulle varie sue bossfight. Invece, sia per differenziare l’esperienza quanto per proporre un’avventura con degli approcci diversi e proposti all’intero pubblico, Cuphead è stato potenziato e strutturato perché avesse un game design marcato e curato sotto ogni punto di vista.

Ma come è sopravvissuto un videogioco del genere nella folta e imprevedibile giunga del mercato? Con la propria anima, che Studio MDHR non ha sacrificato quando ha deciso di sviluppare e concretizzare il progetto Cuphead in tutte le sue più folli sfaccettature, mentre costruiva le bossfight con accuratezza e precisione per metterci alla prova. Basare un intero videogioco sulle bossfight poteva costare chiaro a Studio MDHR, che però ha perseguito il suo scopo e ha confezionato un gameplay di gioco che tante altre case sviluppatrici non sono state capaci di emulare, nel corso degli ultimi anni.

Non per niente, la struttura ludica dell’opera dei fratelli Moldenhauer è complessa da replicare, per quanto l’idea di base sia semplice. Tuttavia, nessuno aveva mai pensato di basare un intero videogioco sulle bossfight, con una progressione che consiste nel batterli ed avanzare nell’esperienza. Nessuno lo aveva mai fatto, nessuno aveva mai tentato qualcosa del genere e nessuno – neppure gli studi più rinomati – si era preso questo rischio. Perché, se non si fosse capito, Cuphead è una scommessa vinta e un progetto che ha saputo proporsi con intelligenza a una larghissima fetta di pubblico, arrivando là dove tante case sviluppatrici indipendenti sognano, sperando di arrivare a solcare il mare del successo.

Se da una parte c’è la sicurezza di un team e la sua follia, dall’altra c’è un approccio più radicato e intenso alle bossfight, che coinvolge ogni aspetto dell’opera. Stiamo parlando di scontri complessi alle volte composti da più fasi, con un punteggio alla fine come un qualunque altro metro di valutazione capace di offrire un quadro generale sui nostri progressi. Tuttavia, è difficile raggiungere una S, il valore più alto in uno scontro, perché a schermo la spettacolarità degli scontri e la loro imprevedibilità non permette di raggiungerlo con facilità.

Il team è riuscito a comporre, lavorando a ogni aspetto del videogioco, degli scontri complessi, intricati e non semplici da approcciare e vivere, mettendo in mostra una sicurezza invidiabile nonché avvincente e plasmando al contempo una struttura che mostrasse in tutto e per tutto la sua maturità, rimanendo fedele alle sue capacità e proponendo in generale degli scontri entusiasmanti e fuori scala. Diciamocelo, non è stato semplice evitare i colpi di un avvoltoio oppure di uno sciame di api all’interno di un alveare, come non è stato facile battersi con un drago malvagio o con un pagliaccio. Ed è in questo aspetto che Cuphead arriva all’obiettivo, delineando degli scontri variegati e completi con delle fasi da apprendere, utilizzando le abilità sbloccabili durante la nostra progressione e provando fino alla fine, pur fallendo miseramente per un centinaio o un migliaio di volte.

Un discorso ulteriore da fare, peraltro, è sulla difficoltà complessiva dell’esperienza, che seppure elevata e spesso non molto semplice da sconfiggere, offre comunque tante ore di divertimento perché è incastrata nel game design con attenzione e precisione. Prima abbiamo parlato di approccio, anzi: lo abbiamo ripetuto un’infinità di volte, e alla base c’è questo, perché ogni scontro mette in risalto la complessità di una struttura ludica fuori scala. 

Mantenere però un ritmo, un equilibrio simile e intanto riuscire a fare incastrare tutto quanto non è da tutti, come è da pochi avere la capacità di mantenere alto il livello qualitativo di un’opera dall’inizio alla fine. Porkrind è un personaggio importantissimo durante la progressione dei livelli, perché vende abilità, come una carta vitalità in più che potrebbe fare la differenza durante gli scontri più intricati e complessi. Alle volte ci domandiamo come si possa mantenere un certo livello qualitativo e quanto sia difficile, allo stesso tempo, riuscire a equilibrare le caratteristiche di un videogioco di questa portata.

Cuphead risponde a questa domanda con la sostanza e la cura che contraddistingue le grandi produzione da quelle meno impattanti, dimostrando una maturità invidiabile nell’approccio agli scontri mentre inscena dei momenti esaltanti e indimenticabili. Perché sì, siamo morti, abbiamo fallito un numero sconfinato di volte e abbiamo abbracciato l’idea di abbandonare l’opera e dedicarci a qualcosa di meno complesso e più leggero, eppure siamo rimasti a Calamaio, soffrendo e sudando le proverbiali sette camicie. Se Ercole ha affrontato le sue sette fatiche e non ci è rimasto secco, noi abbiamo combattuto i servi spietati del Diavolo, portando a casa una vittoria pirrica per il rotto della cuffia. E se tra quei salti, capriole, balzi e schivate ci è rimasto qualcosa, è perché siamo rimasti incantati della sua struttura, non facendone più a meno.

“A Calamaio ti aspettiamo”: come l’arte di Cuphead ci ha conquistato

E poi, come sempre, c’è la direzione artistica, uno dei compartimenti più rilevanti di un videogioco. Non è da tutti ricreare degli ambienti e inscenare delle sequenze, non quando questo “Tutto” è disegnato a mano e curato con attenzione per riportare su schermo le atmosfere anni ’30 scelte per l’occasione da Studio MDHR. Dal design dei protagonisti principali ai boss più complessi, c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno: un mondo incredibile, ricco e variegato, un’isola da esplorare che conquista e lascia di stucco, e che ci esorta a perderci nei suoi meandri, mentre ci rifacciamo gli occhi con il design dei boss. Una delle parti che ha convinto la critica e il pubblico è proprio questa, perché entrare in un cartone animato lo abbiamo sognato più o meno tutti, persino quelli che non ne sono tendenzialmente appassionati.

L’arte di Cuphead ci ha conquistato perché, sempre rimanendo fedele alle sue ottime trovate, ha scelto di sorprendere con un modello stilistico inedito e mai visto prima, rifinendo un concetto spesso bistrattato da tutti. La grafica, ricordiamolo, non è importante e non dovrebbe trascendere più il valore complessivo di un’opera, per quanto sia rilevante nel corso di un’analisi o una valutazione. Cuphead ci dimostra, però, quanto sia meraviglioso sperimentare e immergere i giocatori in un mondo inaspettato, capace di coinvolgere ed emozionare.

Durante la nostra scoperta di The Delicious Last Curse, la cura non è mancata, anzi: alcune aree sono persino superiori a quelle che abbiamo vissuto nel corso del gioco base. E come non citare, a riguardo, Chalice, che nel corso dell’avventura del buon Pinzomonio Salieri prende il posto di Mugman, dandoci ulteriori varietà durante gli scontri? Prima abbiamo parlato delle ambientazioni e dello stile artistico, che intrattiene dall’inizio alla fine, proponendosi al giocatore in maniera classica e non tradendo le sue ottime premesse. Se non altro, abbiamo atteso The Delicious Last Curse per quasi cinque anni, un tempo assai lungo ma comunque perdonabile, considerando la sua pregevole qualità finale.

Cosa aspettarsi da Studio MDHR?

Nel nostro approfondimento abbiamo parlato, a trecentosessanta gradi, degli aspetti più importanti di Cuphead e di cosa lo renda un capolavoro e perché tutti dovrebbero provarlo. La morale della sua storia, se non fosse chiaro, va ben oltre la storia di maturazione e formazione cui siamo abituati. È un percorso intricato, sia chiaro, difficile e, concludendolo più volte, ci siamo domandati spesso quale potrebbe essere il futuro dei nostri eroi.

Di Calamaio ormai conosciamo tutto, vuoi per la prima stagione della serie televisiva Netflix, vuoi per il videogioco e il magnifico albo “The Art of Cuphead”, che contiene tutte le illustrazioni dei boss, di Cuphead e Mugman e degli altri personaggi. Il suo futuro, attualmente da scoprire, è un mistero per tutti ma ci aspettiamo, però, di lasciarci indietro Calamaio verso nuove esaltanti peripezie.

D’altronde, Cuphead e Mugman, tra il gioco base e The Delicious Last Curse, sono solo all’inizio delle loro avventure. Non sappiamo quanto grande sia l’universo dei fratelli Moldenhauer e neanche in che modo potrebbe essere proposto in futuro, magari con altre aggiunte. Di sicuro, è un futuro che non vediamo l’ora di scoprire. L’avventura delle due tazzine più famose dei videogiochi è solo all’inizio. Ci basta sapere questo.