Dietro le quinte di Mosaic | Intervista al Creative Director di Krillbite Studio

Intervista a Krillbite Studio in cui il Creative Director Adrian Tingstad Husby racconta il dietro le quinte del loro Mosaic.

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a cura di Alessandro Palladino

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Il messaggio di Mosaic, titolo indipendente di Krillbite Studio e pubblicato da Raw Fury, è sicuramente uno dei più reali all'interno dell'industria videoludica, mostrandoci una distopia dove il lavoro ha soppresso la felicità e la curiosità. Ne abbiamo parlato abbondantemente nella nostra recensione, ma abbiamo voluto osare di più e approfondire il dietro le quinte del gioco con Adrian Tingstad Husby, il Creative Director del gioco, scoprendo come sia nata l'idea dietro Mosaic e quali siano state le ispirazioni per ideare uno scenario tanto realistico quanto ermetico.

Innanzitutto, grazie per la possibilità concessaci con questa intervista! Iniziamo con una domanda abbastanza semplice: qual è la storia dietro il team di Krillbite? Come vi siete conosciuti e quale è stata l’idea che vi ha portato a formare la base di Mosaic?

Adrian: Grazie a voi per l’interesse! La squadra di Krillbite Studio si è formata quando eravamo ancora studenti e iniziammo a lavorare ad Among the Sleep, il nostro precedente gioco, come oggetto della nostra tesi di laurea. Dopo esserci laureati 9 anni fa, abbiamo costruito il piccolo studio indipendente e abbiamo lavorato per tre anni prima di lanciarci veramente sul mercato. Concettualmente, Mosaic è nato proprio in questo periodo, nello stesso nel quale ci sentivamo intrappolati in una produzione più grande, il che non è affatto una coincidenza. Da questo spunto abbiamo incluso molte altre situazioni della nostra vita e delle osservazioni che avevamo tirato fuori analizzando la società nella sua visione più ampia. Attraverso questo processo Mosaic prese gradualmente vita.

Mosaic affronta direttamente la lavoro-centrica vita che molte persone hanno trasformato nella loro normalità. Ti svegli, vai al lavoro, mangi, dormi, paghi le bollette e ripeti. In questo caso specifico il protagonista si trova già sull’orlo di una personale crisi finanziaria, con l’unica scelta di lavorare tutto il tempo anche solo per arrivare alla fine della giornata. Questo senso di urgenza o instabilità è stato per voi necessario per catturare le emozioni del giocatore? Oppure è più un fattore che permette a un pubblico più maturo di simpatizzare con il personaggio?

Adrian: Sicuramente la risposta può arrivare dalla narrativa principale che vogliamo comunicare. Mosaic infatti non è un gioco di “fantasia del potere”, piuttosto è improntato principalmente per far rendere il protagonista un elemento con cui tu, il giocatore, può relazionarsi, specialmente nei riguardi di sentirsi impotenti e intrappolati nella tua stessa vita. Molte persone vivono di stipendio in stipendio e fanno davvero fatica ad andare avanti. È una situazione disperata e senza speranze, per questo il nostro obiettivo è quello di creare empatia verso questa situazione anche se, personalmente, non hai mai vissuto quel tipo di situazione.

Nel creare la storia e il concetto di Mosaic, avete incluso anche esperienze personali nel processo di sviluppo? Ci sono eventi reali che potreste dire hanno plasmato la vostra visione del gioco?

Adrian: Sicuramente! Tra tutto penso che il duro lavoro per Among the Sleep abbia davvero innescato il gioco. In aggiunta, all’interno di Mosaic abbiamo messo scene direttamente ispirate dalle situazioni delle nostre vite. Sono sicuro che molti giocatori potranno ritrovarsi nei silenzi imbarazzanti all’interno degli ascensori, o alla sensazione di sentirsi come una pecora in un gregge all’interno della metro, o trovando una via di fuga dalla vita in un gioco per telefono invece di fare quello che si dovrebbe fare.

I colori giocano un enorme ruolo come “porta” con cui il personaggio può scappare da una realtà tetra e oppressiva. Ma, togliendo le visioni e i pesci nel lavandino, anche il posto di lavoro e altre caratteristiche “cattive” hanno i loro colori distintivi, come il bianco il blu acceso. Qual è quindi la vostra idea dietro l’uso delle palette di colori in Mosaic e come siete arrivati a questo particolare schema?

Adrian: Una parte centrale della narrativa di Mosaic è proprio il contrasto tra l’elemento umano colorato e quello violento, freddo e capitalista della città. Abbiamo usato angoli duri e sfumature di blu per rendere il sistema della città che opprime il giocatore cinico e freddo. Grazie a questa base di partenza abbiamo preso il contrasto più diretto in modo che i pochi guizzi di musica, colore e calore riuscissero a spiccare di più rispetto all’ambientazione di gioco.

Negli ultimi anni, storie sullo sviluppo dei videogiochi e della pratica del crunch sono state sotto la luce dei principali media, innescando pensieri e movimenti sui diritti dei lavoratori e il benessere che dovrebbero avere durante l’orario lavorativo. Essendo un team indipendente che, tramite il suo gioco, riflette apertamente su temi affini, qual è la vostra posizione sull’argomento?

Adrian: Abbiamo un approccio molto coscienzioso nei confronti del crunch, forse anche per colpa dei nostri precedenti passi falsi che hanno direttamente ispirato Mosaic. Guardando intorno all’industria dei videogiochi ci sono dei metodi palesemente distruttivi con cui alcune aziende sfruttano i propri lavoratori, il che è terribile. Essendo un piccolo ed appassionato studio di videogiochi, per fortuna abbiamo molta libertà di gestione e ci assicuriamo attivamente che la compagnia lavori anche per i suoi dipendenti e non solamente il contrario.

In molti sensi Mosaic tocca il fragile equilibrio tra la natura e il panorama urbana. Nella città del gioco possiamo vedere il protagonista trovare conforto nelle piccole aree verdi in mezzo a dozzine di grattacieli, scoprendo colori, musiche e sensazioni semplicemente camminando in un parco che presto verrà dismesso. Ma ciò che più colpisce è che nonostante ci siano effettivamente delle aree verdi, le altre persone non le riescono a vedere per via del fatto che stanno sempre sul telefono, o a lavoro o giocando a BlipBlop. Pensate quindi che la tecnologia abbia reso noi umani meno attenti al mondo che ci circonda? E, se sì, avreste una soluzione da suggerire?

Adrian: In generale, penso che gli effetti positivi della tecnologia sorpassino abbondantemente quelli negativi (del resto faccio videogiochi!). Ma effettivamente penso che il modo in cui ci stiamo distraendo dalla natura sia una ragione quantomeno per preoccuparsi. Credo sia salutare sentirsi parte di un ecosistema e conoscere da dove viene il tuo cibo, per così dire. Ci avvicina come umani e rende il mondo – e le conseguenze delle nostre azioni in esso – molto più tangibile. Nonostante al momento non ci siano soluzioni da fornire nell’immediato, spero che la tecnologia possa trovare il modo di aiutarci anche in questo scopo.

Il design sonoro di Mosaic, oltre a essere magnifico, è molto preciso. Ogni piccola situazione ed elemento hanno il loro feeling audio e comunicano messaggi specifici anche solo utilizzando effetti e note. Ma c’è un momento preciso in cui pensiamo che i vostri suoni colpiscano direttamente i sentimenti del giocatore: quando ci si fissa allo specchio. Nel momento in cui la musica inizia ad aumentare d’intensità e la camera zooma sulla faccia, seguendo le lunghe pause che il personaggio fa quando si lava la faccia, è probabilmente uno dei momenti più intensi e intimi del gioco. Quali erano le vostre intenzioni dietro questa scena?

Adrian: Vi ringraziamo per le belle parole! È infatti una delle scene che abbiamo utilizzato per battere sull’aspetto esistenziale e isolato della narrativa di Mosaic. È una scena molto lunga e intensa con pochissima interattività, ma credo sia importante per i videogiochi permettere questa tipologia di momenti fino a quando hanno uno scopo preciso. È anche una delle scene con cui vogliamo direttamente riflettere (perdonate il gioco di parole) l’esperienza che vogliamo che il giocatore abbia: guardare al suo schermo e al gioco come uno specchio della propria vita.

Infine, Mosaic è uscito da un bel po’ e avrete sicuramente avuto tempo di spulciare sia i feedback che le reazioni dei giocatori. Come ha reagito il pubblico al vostro gioco? Avete ottenuto i risultati che vi aspettavate durante lo sviluppo? Inoltre, considerereste fare un altro gioco con temi così seri come lo è Mosaic?

Adrian: L’accoglienza di Mosaic è stata più o meno quella che avevamo previsto. Siamo coscienti che non sia un gioco per tutti e perciò abbiamo cercato di abbracciare questo fatto invece di fare di tutto per renderlo appetibile per chiunque. Ma le persone che lo hanno apprezzatolo hanno fatto per davvero, ed è questo ciò che conta. Per noi è davvero importante lavorare nei videogiochi a cui è legata una nostra passione, ed essendo un team di diverse persone significa che faremo cose molto diverse fra loro. Il nostro desiderio generale è quello di fare giochi che non sono mai stati fatti prima, ma non abbiamo nessuna regola su quale tipologia di giochi fare. Al momento, a proposito, stiamo lavorando a diversi nuovi progetti ultimamente, alcuni dei quali sono tematicamente pesanti e un altro orientato più al gameplay. Ma al momento non siamo abbastanza pronti per diffondere troppi dettagli al riguardo!

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