Sky - Children of the Light: un volo tra i ricordi del passato

Un nostro approfondimento dedicato a Sky: Children of the Light e alle varie connessioni al suo interno tra videogiochi e letteratura

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a cura di Nicholas Mercurio

Quanto sono importanti i ricordi? In che modo ci approcciamo ad essi? Cosa sentiamo e amiamo? Come fanno i videogiochi a parlare al pubblico? E ancora, perché si crea una linea di contatto del genere con il nostro medium preferito e in generale con le nostre esistenze? Sono domande che, in un modo o nell’altro, tutti noi ci poniamo quando viviamo nuove esperienze, e Sky: Children of the Light spinge a porsene ulteriori.

Partiamo da un mondo, lo esploriamo e lo capiamo, poi passiamo ad altro, cercando nuovi stimoli. È naturale, perché fa parte del mercato e il panorama dei videogiochi, in costante mutamento, può cambiare da un momento all’altro. Può darci un nuovo capolavoro, può offrirci un videogioco anonimo e privo di spessore, e può anche farci arrabbiare a causa di mosse che alle volte non condividiamo. Arrivano le polemiche, altre polemiche, nuove polemiche, e così via, ma il viaggio che compiamo è già segnato.

È come in Edge of Tomorrow, un film fantascientifico con protagonista Tom Cruise: tutto si ripete e non possiamo fermarlo, se non andare avanti e cercare di essere migliori. I videogiochi, se non altro, cercano di trasmettere questo insegnamento con lo scopo di offrire al giocatore nuovi mondi in cui vivere, interfacciandosi inevitabilmente con loro stessi. Lo ha fatto Red Dead Redemption II e lo hanno fatto tante altre produzioni, e ognuna ha riempito di nuove sensazioni le nostre emozioni per farci viaggiare verso mondi lontani e sconosciuti.

L’universo di Sky – Children of the Light, tenuto in piedi da una base semplice ma al tempo stesso unica, fa parte di un mondo da vivere assieme a qualcuno, e meglio se questo "Qualcuno" è uno sconosciuto. D’altronde, è questo lo scopo di videogiochi simili, unici e memorabili, significativi e impattanti a livello collettivo quanto personale. Si esplora la luce all’interno di ognuno di noi, facendo passi avanti, conoscendo più da vicino cosa c’è oltre la nube di inganni e paure, mentre abbiamo a che fare con altri giocatori.

La magia di un contesto perfetto

Lo scopo di Sky – Children of the Light, infatti, è quello di accendere le candele all’interno delle nostre anime, viaggiando da un punto a un altro incantati dalla stessa meraviglia che ci contraddistingue da sempre. Alle volte, per un motivo o per l’altro, ci sentiamo smarriti e non sappiamo in che modo approcciarci al mondo e viverlo nuovamente. Perdiamo qualcuno, e non sappiamo farci nulla; vediamo i nostri amici andare avanti, ma non sappiamo come raggiungerlo.

E allora proviamo tanti tentativi inutili, provando a stare bene attraverso i gesti semplici che tanto ci contraddistinguono, facendo magari cosa ci piace, capendo il prossimo e i suoi problemi, provando a sentire nuovamente quella luce dentro di noi. Questo è un processo complesso, però, che il più delle volte può avere risultati positivi e altre volte, invece, mostrarci quanto possa essere oscuro il mondo.

Jenova Chen, già celebre nel panorama per Journey e Flower, è uno sviluppatore che ha saputo inserire all’interno di Sky – Children of the Light la stessa passione che ha da sempre contraddistinto delle opere che potremmo considerare intimiste. Se ci pensiamo, To the Moon e altre piccole produzioni hanno intrapreso questo percorso, riuscendo a dare spessore al racconto in maniera dolce ed esemplare, facendo sognare. Abbiamo bisogno, infatti, di videogiochi che sappiano raccontare attraverso il contesto e il loro gameplay delle storie meravigliose e toccanti, tra una scena e l’altra, tra una meccanica e un caricamento. Il sistema di combattimento di Sekiro, per esempio, ci insegna a vivere i momenti come se fossero gli ultimi. E impariamo ad assestare colpi, a uccidere, a sopravvivere e a morire, resistendo e imparando a deviare l’affondo di una katana.

Sky – Children of the Light, come Journey, segue un altro tipo di approccio e ci esorta a viaggiare in scenari splendenti tra antiche foreste proibite, dune e antichi castelli che nascondono misteriosi segreti. Entrando a loro interno, ci accorgiamo che lì, un tempo, c’era qualcuno a vivere le nostre stesse sensazioni: erano i giocatori che, come noi, stavano cercando tra le pareti e quei corridoi una ragione per continuare il loro viaggio.

Jenova Chen, attraverso questo modo narrativo, ci spiega che siamo proprio noi a raccontare le storie dell’universo di Sky – Children of the Light, vivendo in un contesto da sogno. Tornando indietro nel passato, possiamo immaginare come era vivere un tempo e cosa c’era prima della desolazione. Nella produzione di thatgamecompany, infatti, assorbiamo i ricordi di chi ha fatto parte di quel mondo che ora, invece, vorrebbe solo rivedere chi ha perso. Se in Journey viviamo la desolazione e sappiamo che attorno a noi non è rimasto nulla, in Sky – Children of the Light c’è ancora una speranza per chi sta cercando un po’ di pace, sognando altro dal nulla lasciato dalla fine.

In che maniera ci approcciamo ad essa, per esempio? In quale modo la visione di una storia narra la perdita, esaltando delle caratteristiche uniche e significative, capaci al contempo di delineare un sogno tangibile, vivo e pulsante? Perché non sappiamo cogliere il momento, strappandoci di dosso la tristezza che ha lasciato la desolazione di Journey? E quanto un fiore, magari lo stesso di Flower, resiste alle intemperie?

Sono domande che, in un modo o nell’altro, cambiano il modo in cui ci approcciamo al viaggio di pace raccontato in Sky – Children of the Light dallo studio di sviluppo losangelino. C’è un mondo, là fuori, caotico e malvagio che non sempre è come sembra. È la natura, però, a resistere a chiunque sia pronto a minacciarla. Nel viaggio di Sky – Children of the Light, mentre entriamo in contatto con le varie ambientazioni, conosciamo meglio cosa c’è attorno a noi, e da esse apprendiamo il loro presente.

I ricordi di Sky – Children of the Light tra la letteratura e i videogiochi

Mentre viviamo i ricordi dei personaggi non giocanti sparsi per questi scenari, apprendiamo le loro storie e cosa si sono lasciati alle spalle. È una mossa di game design precisa e per nulla insolita, perché riguarda in maniera unica tutti coloro che hanno a cuore il contesto che hanno attorno mentre vivono un’esperienza interattiva, andando ben oltre i classicismi di un genere saturo e infoltito da produzioni troppo simili le une dalle altre.

Vediamo i raggi del sole inoltrarsi tra le nuvole, risplendendo sui placidi specchi d’acqua di una radura che ha tante storie da raccontare. Nel frattempo, il contesto racconta dei ricordi passati delle anime perdute, ormai disperse in un purgatorio da cui non riescono a fuoriuscire. Cercano in ogni modo di farlo ma non ci riescono, perché sono spiriti smarriti e senza guida, ed è qui che entriamo in gioco noi. Dando loro supporto, aiutandole e facendole crescere, diventiamo delle guide necessarie mentre cerchiamo il nostro coraggio. Anche se è complesso collegare un discorso del genere con produzioni di altri medium, è impossibile non trovare delle similitudini con la letteratura, che nei videogiochi estende la sua mano offrendo nuove suggestioni, coesistendo e rafforzandosi.

Quest’ultima, e potremmo citare diversi libri a riguardo, si presenta da sempre al mondo allo stesso modo con cui lo fanno alcuni videogiochi. Sky – Children of the Light è una fiaba che racconta perché ricordare è vitale per avere un collegamento tra il passato, il presente e il futuro, e cosa c’è da scoprire nel contesto per approfondire meglio cosa si cela nel mondo. Le poesie, i romanzi storici, i racconti perduti e ritrovati, le storie di uomini come Artù e le leggende della Terra di Mezzo fanno parte dei patrimoni umani che sintetizziamo con un termine potente ma essenziale: cultura.

Quando Sky – Children of the Light ospitò l’evento dedicato de “Il Piccolo Principe”, sbarcando su Nintendo Switch, capimmo sin da subito dove intendesse andare a parare. Il Serpente, che rappresenta il simbolo di morte, nel viaggio è tuttavia una figura positiva, perché spiega come la malvagità in realtà sia necessaria per equiparare il bene e il male sulla stessa linea degli eventi. Torna di moda il termine “Viaggio”, che nel panorama videoludico rappresenta la forza capace di portarci da un capo all’altro di un universo virtuale, dandoci modo di farci viaggiare soprattutto con la fantasia.

In Sky – Children of the Light e Journey, infatti, esploriamo diversi scenari, imbarcandoci in un viaggio memorabile. Come accennavamo prima, ci sono due differenze sostanziali che, in un modo o nell’altro, rendono questi videogiochi delle perle per l’industria e in generale per la narrazione emergente. Quando raccontiamo un’opera, non tralasciamo nulla: descriviamo ogni sensazione in modo intimo, e ogni messaggio e passaggio diventa, in egual misura, importante per noi quanto per il nostro interlocutore.

I giocatori, attraverso questa possibilità, possono raccontarsi e vivere insieme le vicende di Sky – Children of the Light, spingendosi ben oltre i mondi, gli universi, gli scenari, le emozioni e le sensazioni che rendono un’opera videoludica unica e imperdibile. Perché, se non si fosse capito, Sky – Children of the Light è un libro aperto che racconta i ricordi ed enfatizza il modo con cui possiamo approcciarci ad essi. È un modo che, oltre a essere significativo e azzeccato, ci dimostra che al mondo serve una speranza in più per vivere con serenità, arrivando laddove non immaginiamo neppure. Svolazziamo da una parte all’altra, e ci serviamo della natura senza distruggerla, dandole il giusto rispetto.

Mentre voliamo da un capo all’altro di uno scenario, vediamo cosa abbiamo attorno farsi microscopico, e spostarsi a mezz’aria diventa un momento meraviglioso nel quale perdersi. La magia, al centro della produzione di Jenova Chen, la contempliamo interagendo con altri giocatori, magari tenendoci per mano, sostenendoci a vicenda e dandoci manforte. Veniamo proiettati in un futuro che, senza troppe cerimonie, ci ricorda quanto è meraviglioso vivere un’esperienza assieme a qualcuno.

Anche se è lontano e non sappiamo chi è, la persona che accetta di prenderci per mano potrebbe avere bisogno di un po’ di pace per trovare la serenità necessaria e staccare la mente, vivendo un momento di gioia e spensieratezza. Durante la pandemia, infatti, opere come Animal Crossing e Death Stranding hanno dato modo a molte persone di andare oltre le barriere create dal distanziamento sociale e di vivere momenti di condivisione, permettendosi di esplorare sfumature di sé stessi che, in contesti normali, nessuno sarebbe mai riuscito a contemplare nel modo giusto.

Sky – Children of the Light è un videogioco che segue questa filosofia, e va ben oltre la cooperazione tra individui. È un’avventura che si può vivere in solitaria, ma è il consolidare un rapporto con un altro il lato sicuramente più pregevole dell’esperienza. Con Journey questo non è possibile, e chiaramente non è mai stato quello il suo obiettivo, perché il messaggio finale del capolavoro di Jenova Chen riguarda la desolazione dentro e fuori di noi. In Sky – Children of the Light ci sono ambienti che, al contrario, dimostrano che qualcosa di vivo c’è ancora. E no, non siamo solamente noi e gli altri giocatori a rendercene conto, bensì i contesti che viviamo e con cui ci interfacciamo durante le nostre esperienze. C’è sempre qualcosa di incredibile, là fuori, che aspetta di essere esplorato e compreso pienamente. Tutto, in un modo o nell’altro, passa da questo.

Cosa aspettarsi dal futuro?

Sky – Children of the Light è certamente l’apice della creatività di uno sviluppatore che, nel corso degli ultimi anni, ha sempre proposto opere incredibili e memorabili. Abbiamo bisogno, in effetti, di produzioni del genere, capaci sia di sorprendere e lasciare il segno quanto di insegnare qualcosa attraverso i ricordi. È la connessione che definisce una tipologia di videogiochi che, nel corso dell’ultima decade, ha proposto avventure che non si preoccupano soltanto di vendere, ma di accompagnare il giocatore in un viaggio che va oltre le proprie certezze e sicurezze.

Bisogna rischiare, fare un salto, non limitarsi a vivere lo status quo e capire che, forse, in questi meravigliosi mondi vale la pena essere felici. Nella vita di tutti i giorni possiamo ambire alla contentezza, che è più soddisfacente di un momento di felicità perché dura più a lungo. Jenova Chen è un talento dell’industria che, nel prossimo futuro, probabilmente offrirà un’altra produzione iconica. Menti del genere, sorprendenti e imprevedibili, possono delineare opere di ogni genere. Magari ci farà impersonare una conchiglia, che si muoverà nel mare fino a giungere in una spiaggia, o forse saremo un rametto che sopravvivrà alle epoche, facendo parte di un albero secolare. La vita raccontata da Jenova Chen merita ulteriore spazio, specie in un panorama complesso come il nostro. Abbiamo bisogno di contentezza.