Troll: la legge e la cultura della Rete

Il trolling online non è solo un problema culturale, è anche frutto del perverso meccanismo economico e pubblicitario che sta dietro al web. Ne abbiamo parlato con Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia che ha scritto il libro-inchiesta "No Comment" sul fenomeno del trolling online.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Chi può intervenire contro i commenti lesivi dell'onorabilità altrui e in base a quali leggi?

"Gli strumenti ci sono perché le norme valgono offline quanto online; il reato di diffamazione previsto dall'art. 595 del codice penale non ha zone franche. Il problema è la reale capacità della Polizia Postale, delle autorità giurisdizionali e di chi se ne occupa di risalire all'identità e soprattutto di avviare poi procedimenti penali a carico di chi ha violato la legge.

La legge c'è

La questione più complessa è tuttavia quella relativo alla responsabilità penale e civile in sede di risarcimento del danno dei provider. È il tema fondamentale a proposito di contumelia sulla Rete. Ad oggi il nostro Paese vede una complessiva deresponsabilizzazione dei provider per legge, e per capire basta pensare al celebre caso Vivi Down. È chiaro che il nostro Paese non prevede norme a carico dei provider, e che se il controllore, cioè colui che ospita l'espressione degli utenti, non ha nemmeno in sede civile né oneri, né responsabilità non disincentiva la concentrazione del fenomeno del troll".

Il trolling è quindi un problema di immaturità della Rete o di mancanza di cultura della Rete?

"La riflessione contenuta nel libro è anche supportata da altri autorevoli rappresentanti. Il sociologo italiano Alessandro Dal Lago interpellato nel libro, individua soprattutto l'impronta del mercato della Rete. Sospendendo il giudizio su quanto sia più o meno spinto, è chiaro che in un sistema in cui l'unico elemento discriminante è la capacità o meno di attirare traffico a fine di ricavi pubblicitari e a fine di profilazione commerciale, è evidente che il merito del contenuto di quel traffico, se non è secondario, è sicuramente terziario. Questo potrebbe concorrere a generare una certa qualità del traffico.

Il paradosso che cerchiamo di affrontare in questo libro è questo: in Rete dal punto di vista penale è garantita al navigante una sostanziale impunità anche dichiarata nei fatti, a fronte di una profilazione commerciale decisa e pronunciata di quello stesso navigante, da parte di quello stesso soggetto che gli sta garantendo l'impunità.

In altre parole, ti permetto di commentare firmandoti 'stellina del mattino' e se mi scappa un tuo commento diffamatorio pazienza, tanto il diffamato non avrà mai interesse a perseguirti e aspettiamo che il commento scorra in quarta pagina per dimenticarcene.

La cosiddetta libertà in Rete, dove la Rete è presentata come soggetto astratto senza regole, in realtà non è tale, come sottolineano i casi Snowden e Wikileaks.

A questa lettura apparentemente pessimistica si contrappone un'apertura dell'anno 2014 con notizie molto positive per chi è convinto che la Rete debba rimanere libera, il che non significa sregolata, o nelle mani delle leggi prodotte soltanto dai proprietari della Rete, cioè i grandi colossi multinazionali. La giurisprudenza comunitaria ha fatto dei passi molto positivi in tema non solo di diritto all'oblio, ma anche di direttiva comunitaria nel trattamento dei dati personali. La giurisprudenza comunitaria ha dimostrato che è possibile intervenire nel senso costituzionale e non penale, riconoscendo i diritti fondamentali a chi naviga, e che un intervento in tal senso non significa mettere la mordacchia alla libertà di espressione in Rete.

Nel libro noi raccontiamo anche dell'esperienza brasiliana e del Marco Civil, una legge per certi versi molto avanti pubblicata in gazzetta ufficiale nell'aprile 2014 e che riconosce i diritti di chi naviga e le responsabilità dei provider. Il Brasile e la Germania sono i due Paesi che si sono affiancati in un percorso di riconoscimento dei diritti di chi naviga, a scapito delle multinazionali che per fini commerciali e di ricavi economici trattano il navigante come un consumatore privato dei propri diritti fondamentali. La Germania l'ha fatto demolendo la direttiva europea 46 del '95, il Brasile l'ha fatto con il Marco Civil, e questa secondo me è la strada".