Serie di fantascienza: evoluzione di un genere

Come è cambiato il modo di raccontare le serie di fantascienza? Dalla grandi serie del passato a quelle attuali, alla ricerca di pregi e difetti.

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a cura di Manuel Enrico

Negli ultimi tempi, l’offerta di serie di fantascienza è stata decisamente ricca. Grazie alla presenza di diverse piattaforme, tra quelle tradizionali e la nuova frontiera rappresentata dallo streaming, è possibile vedere ogni sera una nuova serie sci-fi, spaziando dai grandi classici alle nuove proposte, passando dalla space opera al cyberpunk, dalla distopia al post-apocalittico. Sulla carta, una simile varietà dovrebbe essere un motivo di giubilo per un avido divoratore di fantascienza, ma siamo sicuri che questa incredibile ondata di produzioni sci-fi corrisponda a un livello qualitativo altrettanto imponente?

La natura di alcuni canali, lo streaming in primis, ha alla sua base una continua offerta di contenuti che mantenga i clienti legati al servizio. Questo legame passa, ovviamente, per nuove offerte, che siano accattivanti e fidelizzino ulteriormente la clientela, soprattutto in un periodo come quello attuale in cui la varietà di canali su cui cercare film e serie tv sembra in costante aumento. Veicoli tradizionali dell’entertainment, come Sky, si sono dovuti adeguare alla nuova fruizione digitale e on demand, che vede in nomi come Netflix, Prime Video e Disney+ dei colossi in costante espansione.

Le serie di fantascienza, tra passato e presente

Spesso questa equazione si traduce in proposte poco innovative o di scarsa qualità, due difetti figli proprio di questa necessità di offrire ai propri clienti qualcosa di nuovo da vedere. Una trappola pericolosa, perché questa dinamica inarrestabile spesso fa emergere assenza di idee e una mancanza di coraggio da parte di sceneggiatori e produttori, che tendono ad affidarsi a temi già visti e apprezzati per giocare sul sicuro, anziché puntare a stupire gli spettatori con delle nuove intuizioni. Se questo discorso vale per tutti i filoni della narrativa televisiva, se andiamo a toccare la fantascienza il problema si amplia ulteriormente.

Affidarsi a un racconto fantascientifico, infatti, non è semplice. Oramai il pubblico non è più quello degli anni ’60 in America, che si stupiva e rimaneva ammaliato dalle storie di Ai confini della realtà (The Twilight Zone) o che si lanciava nello spazio profondo con James T. Kirk e i protagonisti di Star Trek. In quel periodo, la fantascienza era ancora un genere legato a una visione cinematografica basata su scienza impazzita e mostri di varia natura, si percepiva ancora l’influenza delle riviste pulp dei decenni precedenti in cui venivano raccontate avventure dinamiche e il nemico era sempre l’alieno o il robot cattivo. Autori come Serling, aiutato da nomi celebri della narrativa fantascientifica come Matheson e Bradbury, e innovatori come Gene Roddenberry avevano quindi la possibilità di imprimere una nuova vita alla percezione della fantascienza, muovendosi in un contesto, quello televisivo, più capillare del cinema e, tutto sommato, ancora poco toccato dal genere.

In un certo senso, si stava creando il gusto fantascientifico della serialità televisiva. Se Ai Confini della Realtà spaziava in diversi contesti grazie alla sua natura antologica, Star Trek si faceva forte della sua continuity per affrontare temi di attualità per la società americana del periodo. Queste due realtà televisive, in modalità diverse, interpretavano al meglio le dinamiche base della narrativa sci-fi, la voglia di esplorare nuovi mondi, realistici o alternativi, portando gli spettatori all’interno di dimensioni narrative capaci di stuzzicare la fantasia in modi sottili e mai banali.

La concorrenza con la rivoluzione della fantascienza cinematografica, avvenuta sul finire del decennio seguente e che vede in Star Wars la sua rappresentante più celebre, fu un altro spunto per la successiva definizione della sci-fi sul piccolo schermo. Da Battlestar Galactica a Buck Rogers, gli anni ’80 divennero un decennio importate per la serialità fantascientifica, che si arricchì di prodotti come V-Visitors o Automan, in cui trovavano posto anche nuovi elementi del quotidiano, come la crescente diffusione dell’informatica anche in ambito domestico. Si andava consolidando una percezione della science fiction, seriale e cinematografica, che si arricchiva continuamente di proposte. Mentre al cinema usciva Aliens-Scontro Finale, in televisione spopolavano le repliche del primo Star Trek e di Battlestar Galactica, educando e appassionando una nuova generazione di fan che avrebbe poi spostato la propria attenzione su una narrativa che affrontasse tematiche più paranormali, come X-Files di Chris Carter.

Erano anni in cui tutta la serialità sperimentava, non solo nella fantascienza, e in cui il termine anglofono science fiction assumeva sempre più valenza, avvicinando sempre di più l’aspetto scientifico a quello narrativo, contribuendo ad assottigliare sempre di più il confine tra presente e futuro immaginato. Il mercato della serialità TV non era ancora in espansione, non era entrato così prepotente nelle nostre vite, quindi le serie erano attentamente valutate, si cercavano idee nuove, che sapessero anche offrire delle contaminazioni con altri generi, come fece Whedon con il suo Firefly, dipingendo una frontiera futura mescolandola con le caratteristiche del western.

Fantascienza e serialità: un connubio ancora vincente?

Ma se allora si viveva una serialità più pacata, in cui i tempi di fruizione era quelli del medium televisivo classico, con un episodio settimanale, oggi la dinamica dell’on demand e del bingewatching spingono a una produzione più veloce, esigente. I sottoscrittori di un abbonamento streaming, ad esempio, devono esser costantemente serviti da nuove proposte, dando vita a un meccanismo ipercinetico in cui i rilasci di serie devono essere costanti.

Capita quindi che si possa incappare in serie estremamente avvincenti, come The Expanse, ma anche in produzioni di scarso valore come Another Life. Se è vero che simili possibilità accadono da sempre e il giudice ultimo è il gusto personale, va anche riconosciuto come questa ricerca frenetica di nuovi contenuti costringe le emittenti a lanciarsi in una produzione inarrestabile, dando vita a serie che peccano in originalità o presentino storie viziate da grossolane imprecisioni. Si potrebbe obiettare che anche la citata The Expanse, assieme ad altre serie recenti come Altered Carbon, non sia del tutto originale, derivando da una saga letteraria, ma un conto è trasporre in modo convincente una storia mutuata da un altro contesto narrativo, diverso è dare vita a una serie che fagocita idee già viste in altre produzioni per dare vita a un mosaico di storie e personaggi che sanno troppo di già visto.

Basterebbe considerare la recente Tribes of Europa di Netflix, in cui il tema del mondo post-apocalittico viene adattato a una trama in cui è difficile non ravvedere forti similitudini con serie precedenti (come The 100), in cui si muovono personaggi che sono divenuti oramai della maschere fisse di queste narrazioni. Riadattare dei temi classici in una nuova chiave di lettura non è un male, ma a patto di cogliere le giuste linee narrative, offrendo davvero agli spettatori un nuovo punto di vista, come dimostrato con il successo del reboot di Battlestar Galactica, capace di prendere ambientazioni familiari dalla serie del 1978 adeguandole al gusto e alle tematiche moderne.

Quello che sembra animare le serie di fantascienza degli ultimi tempi, invece, è una tendenza a non volersi assumere dei rischi, cercando di dare vita a produzioni che si muovono su sentieri già tracciati da altri, penalizzando varietà e trame. Nemmeno un franchise come Star Trek ha saputo spingersi pienamente in altre direzioni, giocando sul sicuro con serie come Picard e Discovery, lasciando invece alla sua recente versione animata, Star Trek Lower Decks, il compito di portare una ventata di freschezza all’interno della galassia futura creata da Roddenberry.

La voglia di riportare in auge vecchi concept, come Lost in Space, o di affidarsi a operazioni emozionali come Stranger Things e The Mandalorian, possono anche offrire una visione interessante, che può arrivare al punto di trasformare una serie in vero e proprio fenomeno culturale, ma rappresentano una novità? O ci si limita a riproporre una qualcosa di già visto, mascherandolo con altro? Anche una serie attesa come Raised by Wolves, forte dell’essere prodotta da Ridley Scott, aveva portato a creare alte aspettative, ma dopo una manciata di episodi sembra soffrire dei difetti riscontrati altrove: spunti narrativi interessanti ma non sfruttati al meglio.

Il futuro della fantascienza seriale

Molte serie di science fiction attuali sembrano scivolare nella sterilità dei personaggi, sempre più stereotipi facilmente percepibili, che non offrono agli spettatori delle personalità accattivanti e varie, ma si limitano a seguire un copione morale che non contempla sfumature. Una pecca che si ripercuote anche sulle trame e le dinamiche interpersonali, che sembrano faticare a mantenere una propria identità senza risultare la copia sbiadita di quanto già vissuto altrove. Accuse che potrebbero essere mosse anche ad altri contesti narrativi del mondo seriale, come detto, ma nella fantascienza queste crepe risaltano maggiormente. Sembra che gli sceneggiatori preferiscano affidarsi a incolori riproposizioni di temi già trattati, senza sforzarsi di dare nuove prospettive, proponendo agli spettatori delle storie rodate e in cui possano sentirsi già inseriti.

Utilizzare espedienti narrativi già noti non è obbligatoriamente un errore, ma se non si varia il cosa raccontare, bisogna intervenire sul come, che si tratti di esperimenti metanarritivi come WandaVision o offrire di nuovi punti di vista con cui attrarre gli spettatori. Come accaduto con The Mandalorian, che pur rimanendo fedele alla continuity di Star Wars, ha il merito di avere offerto una nuova prospettiva su questo universo familaire, coinvolgendo non solo i fan di vecchia data ma rivelandosi accogliente anche per i neofiti della saga.

Le serie di fantascienza sono dunque tutte da evitare? Ovviamente no. La presenza costante di produzioni fantascientifiche è segno che il genere piace e che non mancano gli appassionati, un motivo che spinge i colossi dell’entertainment a dare vita continuamente a nuove proposte. Certo, la quantità non è sempre sinonimo di qualità, e gli ascolti a volte deludenti sono una severa maestra che può impartite la lezione per comprendere come migliorarsi. Il futuro della sci-fi seriale non è ancora deciso, e quest’anno gli appassionati stanno per avventurarsi in una delle saghe letterarie più amate, la Fondazione di Asimov, che diventerà uno dei prodotti di punta dell’autunno di Apple+, un’attesa di anni che potrebbe essere un nuovo punto di partenza per la fantascienza televisiva.

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