Videogiochi e NFT, dobbiamo davvero avere paura?

Le grandi realtà del mondo dei videogiochi strizzano l'occhio ai token non fungibili (ovvero NFT): dobbiamo seriamente preoccuparci?

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a cura di Alessandro Adinolfi

Nelle ultime settimane nella homepage di Tom's Hardware ho riportato tantissime dichiarazioni di player fondamentali dell'industria dei videogiochi, che si esponevano verso un utilizzo di NFT e della tecnologia blockchain. I nomi che gravitano intorno a quelle frasi sono sempre gli stessi e li conosciamo bene. Sono sviluppatori e publisher, che hanno oramai da anni centralizzato lo sviluppo dei loro videogiochi, rendendoli di fatto dei GaaS, ovvero giochi a servizio. Chi si è sbilanciato a favore degli NFT e delle tecnologie che coinvolgono le criptovalute sono gli stessi che ogni anno lanciano FIFA (EA) e vivono di giochi mobile e monetizzazioni (Konami) e team che hanno oramai cambiato in corsa i loro piani creativi (Ubisoft) oppure hanno deciso di dimezzarli (Square Enix). Chiaramente il web (e specialmente i forum) non dimenticano e non perdono e in tanti si sono scagliati a prescindere contro queste dichiarazioni, ma la domanda vera è una sola: dobbiamo davvero temere questa innovazione?

La risposta più ovvia sarebbe no. Se è vero che i più grandi player dell'industria sembrano essere allineati verso un pensiero unico, è anche vero però che i tempi sono ancora troppo acerbi. Nonostante ciò parlarne fa sempre bene. Io di borsa, criptovalute, NFT e blockchain ne so ancora poco e il mio unico contatto con il trading è avvenuto durante il caso GameStop con pessimi risultati. Per saperne di più dunque ho contatto un amico fidato, una persona che con queste cose ci lavora e ne segue lo sviluppo da ben prima che diventassero mainstream. E così ho alzato il telefono e ho sentito Michele Capuozzo, che all'attivo ha anche un progetto blockchain con il comune di Napoli, avallato dall'ex sindaco Luigi De Magistris. Michele però è anche un appassionato di videogiochi e quindi mi ha saputo fornire un po' di impressioni in più su quello che potrebbero diventare i videogiochi nel momento in cui tutti i grandi publisher adotteranno il modello NFT e blockchain per i loro progetti.

Un cambio di prospettiva?

Prima di cominciare bisogna capire cos'è un NFT. Secondo Wikipedia, un NFT è un “token non fungibile”, crittografato che rappresenta qualcosa di unico. “Virtualmente, tutto può essere un NFT. Anche la tua casa”, mi ha spiegato Michele. In realtà i token sono usatissimi nel mondo dell'arte digitale, specialmente con i meme come ad esempio il Nyan Cat, un'animazione antica che è stata venduta come token per 600.000 Dollari. Sotto questo aspetto, dunque, si tratterebbe di una forma di protezione di copyright, visto che difficilmente un'immagine, una GIF, un video o anche una semplice stringa di testo sono riconducibili ad un solo autore e diventa, per ovvi motivi, complesso risalire a chi ha creato qualcosa.

Appurato questo, dunque, possiamo cominciare a fantasticare un po' su come potrebbe essere implementata nei videogiochi. Anche se in realtà, anche in questo campo abbiamo già diversi esempi che ci vengono in aiuto. CryptoKitties è probabilmente quello che calza a pennello. Tutte le risorse sono degli NFT, dei token non fungibili, unici e controllati dall'utente ed è possibile scambiarle o rivenderle senza dover attendere una eventuale approvazione degli autori. Il gioco è tra l'altro anche molto vecchio in un'industria che consuma i suoi prodotti nel giro di qualche settimana: sviluppato da Dapper Labs, è stato pubblicato nel 2017 ed è utilizzato da una nicchia di giocatori appassionati di tecnologia e di criptovalute. Tecnicamente sarebbe un enorme mercato di gatti virtuali, in pratica è solo un esempio di come questa nuova realtà possa riuscire a far fruttare denaro. Senza però, attenzione, rovinare l'esperienza a noi utenti “normali” che cerchiamo semplicemente di giocare, senza prestare attenzioni ad eventuali microtransazioni. Già, perché alla fine è di questo che stiamo parlando: microtransazioni. E queste sono già presenti praticamente ovunque.

Una realtà molto più noiosa del previsto

Fa paura, lo ammetto, leggere di Konami e Square Enix che sono alla ricerca di modi per implementare token non fungibili all'interno dei loro videogiochi. La mia parte razionale però mi assicura, almeno una vota che sono entrato in possesso delle giuste informazioni. Considerando che i team di sviluppo e i publisher stanno già aumentando il prezzo dei loro prodotti (si è passato da 69,99 Euro a 89,99 Euro per un videogioco next gen per console Xbox o PlayStation), gli NFT aiuterebbero tutti coloro che realizzano GaaS o giochi only multiplayer semplicemente a guadagnare di più.

FIFA potrebbe essere un buon esempio per spiegare come funziona il mercato degli NFT applicato ad un simulatore calcistico: drop costante di calciatori che possono acquistare solo un gruppo limitato di persone ad un prezzo molto abbordabile. Per poi rivenderlo su piattaforme come OpenSea, ad un prezzo maggiorato. Allo stesso modo Rainbow Six Siege potrebbe hostare degli eventi raggiungibili solamente acquistando un altro token limitato, magari da un prezzo molto basso, con ricompense esclusive in-game, mentre Konami potrebbe servirsene per i suoi giochi mobile, magari per ottenere unità e personaggi unici. Sono solo alcuni esempi, ovviamente, che però aiutano a capire che direzione potrebbe prendere l'industria. E partendo dall'assunto che gli NFT sono solo dei mezzi per guadagnare di più, esattamente come lo sono le microtransazioni, forse le nostre paure sono un po' infondate. Perché il tutto esiste già, ed esiste oramai da anni e anni ed è l'unico modo in cui un team di sviluppo che lavora ad un GaaS riesce a sostentarsi.

Ci sentiamo più tranquilli?

Appurato che gli NFT sono dei token che rappresentano una rarità e che si utilizzano per guadagnare più soldi, sfruttando elementi come la scarsa quantità e la paura di perdersi qualcosa (in inglese FOMO, Fear of missing out), non dobbiamo preoccuparsi (eccessivamente) dell'utilizzo di queste tecnologie all'interno dei giochi. Questo perché, fino a quando non avranno impatti pesanti all'interno del gameplay di un determinato gioco (e non si capisce, in realtà, perché dovrebbero averne), il tutto si limiterà molto probabilmente ad un mercato di skin ed oggetti rari unici. Mercato che però esiste già, ma è molto meno regolamentato e molto meno esclusivo rispetto a come potrebbe trasformarsi adottando NFT e blockchain in alcuni videogiochi online.

Certo, le incognite ovviamente restano. Mi piace ricordare che stiamo parlando di un fenomeno completamente nuovo e che ancora oggi non sappiamo quali risolti avrà. Dovremmo in realtà preoccuparci del loro acquisto, più che della loro applicazione in un'industria che non ha mai nascosto l'idea di doverci guadagnare, soprattutto verificando il prezzo di certi cosmetici. Per acquistare gli NFT, infatti, è necessario avere criptovaluta. E la criptovaluta deve essere creata, con un peso per l'ambiente non proprio indifferente. E forse sarebbe meglio spostare il dibattito su questo punto: con un mercato gigantesco come quello dei videogiochi, saranno necessarie molte più criptovalute, molti più coin di Ethereum. E siamo proprio sicuri che in un contesto storico come il nostro sia necessario e obbligatorio produrre qualcosa di dannoso per l'essere umano e per il pianeta stesso?

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