Nell'erba alta: la recensione del nuovo film Netflix ispirato a King

Nell'erba alta: il nuovo film di Netflix basato sull'opera di Stephen King e del figlio Joe Hill. Una storia godibile dalle tipiche atmosfere orrorifiche "alla King"

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a cura di Manuel Enrico

Dopo il deludente All’ombra della luna, Netflix prova a recuperare questo week end con l’uscita di un nuovo film originale: Nell’erba alta. Lo scorso mese sul canale streaming era arrivata una serie horror che aveva mostrato una certa capacità di ribadire l’orrore, Marianne, appellandosi alla concezione di orrore demoniaca e più ‘moderna’, lasciandosi influenzare anche da nuove serie come Stranger Things. Quando di parla di horror, però, un nome viene subito in mente agli appassionati del genere: Stephen King.

Nell'erba alta dalla carta a Netflix

Su Netlix non è la prima volta che le idee del romanziera americano diventano film, come accaduto per Il gioco di Gerald o 1922. Il rapporto tra cinema e King è sempre stato complicato, con risultato spesso deludenti (come accaduto recentemente con It o La Torre Nera) o grandi successi come Shining. Pur essendo apprezzato per grandi romanzi come It o L’ombra dello scorpione, la vera forza di King sono i racconti brevi, in cui la sua capacità di esaltare l’orrore nella quotidianità diventa inarrestabile.

Nell’erba alta è uno di questi racconti, nati dalla mente non di un solo King, ma addirittura di due King. Pubblicato nel 2012 in due parti su Esquire, Nell’erba alta è opera di Stephen King e del figlio Joe Hill, già autore di NOS4A2, serie TV disponibile su Amazon Prime Video.

A portare su Netflix le atmosfere kinghiane, in questo caso, è Vincenzo Natali, che più di vent’anni fa era divenuto celebre con il film Cube. Anche in quel caso si trattava di una storia in cui un ambiente chiuso e claustrofobico accoglieva un campionario di umanità varia con un solo obiettivo: sopravvivere. Il vero interrogativo era se Natali sarebbe stato in grado di cogliere l’essenza dello spirito kinghiano e portarlo su Netflix.

Non entrare in quel campo

I fratelli Delmuth, Becky (Laysla De Oliveira) e Cal (Avery Whitted), sono in viaggio verso la costa ovest, dove la donna incinta del sesto mese ha un appuntamento non meglio identificato. Quando Becky ha un lieve malore dovuto al caldo, i due fratelli accostano al limitare di un gigantesco campo di erba alta, di fronte ad una vecchia chiesa nel cui parcheggio sono presenti alcune auto. Mentre Becky cerca di riprendersi, i due fratelli sentono la voce di un bambino, Tobin, che si è perso dentro quella prigione verde da giorni con la sua famiglia, incapaci di trovare una via d’uscita.

All’interno del campo, Cal e Becky incontreranno la famiglia di Tobin, scoprendo come il campo sia più di una semplice distesa di erba. L’oceano verde che rinchiude i protagonisti pare animarsi di vita propria, nascondere sentieri e dividere le persone, come guidato da una mente perversa e machiavellica con uno scopo preciso. I due fratelli e gli altri protagonisti si troveranno presto a dover affrontare una serie di scelte che ribalteranno anche le stesse dinamiche all’interno di rapporti logori e ipocriti, andando ad innescare meccanismi che metteranno a dura prova coscienze e convinzioni

Come portare King su Netflix

Trattare King non è mai semplice, soprattutto quando entrano in scena i fan dello scrittore americano. All’interno della produzione kinghiana ci sono degli elementi imprescindibili, come la facilità con cui l’orrore può abbattersi sulla nostra quotidianità, apparentemente dal nulla o da eventi del tutto normali. A questo, si unisce lo sfruttamento di dinamiche che rendano le storie di King incredibilmente realistiche, almeno nella loro parte iniziale. Nell’erba alta si basa sulla sosta dei due fratelli Delmuth in una zona rurale sperduta del centro dell’America, che ricorda l’inizio di un altro celebre racconto di King divenuto film, I figli del grano. Allo stesso modo, si può riscontrare una certa familiarità nel modo in cui sia spesso l’ambiente il cattivo delle storie di King, che sia un albergo sperduto tra i monti o un apparentemente banale campo di erba.

Natali ha fatto proprie queste peculiarità di King, cercando di trasporle all’interno del suo film. Il regista ha firmato anche la sceneggiatura, andando a costruire una storia in cui i temi cari di King fossero bene inseriti nel suo film. La sua idea di esaltare la trama del racconto, basandosi su un’aderenza il più possibile allo spirito kinghiano dell’orrore è interessante, con l’introduzione di una sorta di folklore rurale e di elementi più liberi rispetto all’opera originale. Non per questo vengono meno quelle linee familiari di paranormale inspiegabile che diventa una gabbia (il campo di erba non è così diverso dalla nebbia di The mist), o la repentina capacità umana di far emergere il proprio lato oscuro e malvagio dell’animo umano.

Dove Natali inizia a perdere solidità è nel momento in cui si allontana dalla traccia del racconto originale, allargando gli orizzonti di Nell’erba alta. Tutti i registi che si sono cimentati con le opere di King hanno spesso puntato ai grandi romanzi, faticando nel concentrare in un minutaggio impietoso la profondità delle opere del Re dell’orrore. Natali ha invece affrontato il problema opposto: adattare la compattezza di una short story alla durata di un film.

La sua scelta di ampliare con ulteriori dettagli e varie sfumature il contesto ambientale si rivela controproducente. La presenza di un elemento simil-religioso e atavico ha un certo appeal, ma viene gestito in modo poco solido, cercando di esaltarlo attraverso il legame che si dovrebbe creare con i protagonisti. Sfortuna vuole che nel cerca questa profondità, Natali non abbia pensato di concentrarsi invece sulla figura delle anime in gioco, aspetto che invece il buon King cura sempre maniacalmente.

Becky, Cal, il folle Ross (un convincente Patrick Wilson) e il fidanzato di Becky, Travis, sono un quartetto che presentava un grande potenziale. Specialmente la donna, così centrale nel racconto, perde di consistenza nella seconda parte del film, perché non ci viene data una visione del suo vissuto, del perché stia compiendo quel viaggio (spiegazione malamente abbozzata in alcuni dialoghi), ma viene chiesto allo spettatore di accettare il tutto perché la Storia così vuole. Errore grossolano, considerata come proprio la gravidanza sia un punto focale di Nell’erba alta. Nel rendere così sbiaditi i personaggi, Natali perde anche quella emotività sinergica con lo spettatore che può trasmettere l’inquietudine e lo spaventoso ignoto che invece sono sempre presenti nelle pagine di King.

È un peccato, perché Nell’erba alta ha alcune soluzioni visive molto interessanti. Il movimento dell’erba trasmette un senso di pericolosa vitalità che ben si sposa alla trama, così come l’impostazione cromatica che nella seconda parte del film diventa oscura e inquietante, con l’unico contrappunto della nota verde che avvolge tutto. Natali ha ancora degli sprazzi del regista visionario che aveva realizzato Cube ed opere come Splice e Cypher, ma non riesce ad andare oltre la semplice caratterizzazione visiva senza riuscire a superare quella barriera emotiva che impedisce ai suoi personaggi di diventare vivi e credibili, rimanendo sempre lievemente sfocati.

Conclusioni

Nonostante i difetti riscontrati, Nell’erba alta rimane comunque un’interessante proposta di Netflix. Non siamo di fronte ad un film di altissimo livello, ma il film di Natali ha degli aspetti positivi che lo rendono quanto meno meritevole di un’occasione. I fan di King troveranno sicuramente degli elementi familiari con l’opera dell'autore, rimanendo consci che anche questa assonanza abbia dei limiti, ma sufficienti a trasmettere quel minimo di terrore alla King che può farli sentire in presenza dello spirito della fantasia orrorifica dello scrittore. Chi invece è in cerca di un’emozione intensa e dalle tinte angosciose, potrebbe trovare in Nell’erba alta una storia tutto sommato godibile, a patto di non premere play con troppe pretese.

https://youtu.be/12v60RECBXY