Quando un videogioco diventa “vecchio”?

Si sente spesso parlare di videogiochi "vecchI" ma... Cosa significa davvero? È solo una questione di data di uscita, o c'è anche dell'altro?

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a cura di Michele Pintaudi

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La nuova generazione di console sta pian piano prendendo piede con tanti, tantissimi titoli in arrivo nei prossimi mesi che preannunciano un periodo d’oro per tutti gli amanti del videogioco. Ce n’è davvero per tutti i gusti: dagli amanti delle avventure narrative a chi predilige i classici sparatutto, passando per il ritorno di grandi classici e per titoli sportivi che ormai conosciamo da anni.

Ci aspetta un periodo di grandi uscite insomma, che noi di GameDivision non vediamo l’ora di raccontarvi un titolo alla volta. Tutte queste novità e, soprattutto, il passaggio da una console all’altra solleva però diverse questioni che non è mai male affrontare. (Ri)giocare a un titolo di qualche anno fa è infatti un’esperienza che in molti tendiamo a vivere di tanto in tanto: a volte molto bella, a volte in grado di soddisfarci… A metà.

Già perché spesso capita di trovarsi di fronte a un videogioco che, col tempo, è diventato “vecchio”. Meccaniche troppo legnose, una narrazione datata, un gameplay non particolarmente raffinato: sono tanti gli elementi che possono rendere un’esperienza del genere qualcosa di non totalmente positivo. Quello che vogliamo fare oggi è analizzare questi fattori, per capire come e perché alcuni giochi invecchiano e altri - almeno all’apparenza - no.

C’è chi invecchia bene, e chi…

Prendiamo una buona bottiglia di vino. Se già nelle fasi precedenti all’imbottigliamento il tutto, dalle materie prime alla vendemmia, sarà curato a dovere avremo per le mani un prodotto di assoluta qualità. Un prodotto che, se conservato come si deve, invecchiando risulterà addirittura migliore e farà certamente la gioia di tutti gli amanti del vino degni di questo nome. Se invece al processo di vinificazione segue una conservazione approssimativa beh… Il risultato finale sarà una bevanda sciatta, fondamentalmente rovinata dai segni del tempo. E parlando di videogiochi sì, il ragionamento è lo stesso.

Partiamo analizzando un primo caso: quello in cui un videogioco è a tutti gli effetti un prodotto di primissima qualità, almeno al momento dell’uscita. Gli esempi sono diversi, e GoldenEye 007 è forse uno dei più emblematici. Uscito nell’agosto 1997 su Nintendo 64, l’amatissimo sparatutto di casa Rare fu un successo senza precedenti: si trattò infatti di una delle prime dimostrazioni di come il genere FPS potesse dire la sua anche su console, potendo inoltre contare su un’ottima campagna single-player e su una modalità multigiocatore davvero immersiva. A più di vent’anni dalla sua uscita il gioco accusa però, e non poco, i segni del tempo. Le meccaniche appaiono infatti datate e il sistema di controllo non particolarmente adatto al genere, il quale si è nel frattempo evoluto in una direzione molto più user-friendly. Come del resto è giusto che sia, specie per prodotti pensati per un pubblico così ampio e variegato.

Pensiamo poi al primissimo Tomb Raider: un titolo leggendario ma che, nonostante sia tutt’ora giustamente ricordato come un’icona, appare oggi inevitabilmente segnato dal tempo trascorso. Stesso discorso per Silent Hill e Resident Evil, con quest’ultimo che può però contare su un remake (quello uscito su GameCube prima e poi riproposto negli ultimi anni) che permette di vivere il primissimo atto della serie Capcom con un prodotto che le renda davvero giustizia.

Cosa rende questi videogiochi “vecchi”? Probabilmente il fatto che con il tempo l’industria si sia evoluta, settando nuovi standard sotto diversi punti di vista. Comandi, telecamera, texture… Sono tanti gli elementi che, anno dopo anno, si trovano a doversi rinnovare o invecchiare. I titoli citati sono e restano dei capisaldi della storia del videogioco ma, come dimostra Resident Evil, spesso un restauro anche parziale è l’unico modo per rivivere l’esperienza di gioco nel modo migliore possibile.

Sempre rimanendo negli anni Novanta troviamo diversi titoli che, al contrario, risultano ampiamente godibili ancora oggi. È il caso di Age of Empires 2, RTS con cui Ensemble Studios ha portato qualcosa di davvero nuovo in un genere che sembrava destinato a rimanere su un solo e unico binario. Cosa lo rende un prodotto ancora così attuale? Le dinamiche complesse ma, al contempo, proposte ed esplicate in maniera lineare e adatta a chiunque si voglia mettere in gioco.

Siamo di fronte a un caso in cui un videogioco va sì a impostare nuovi standard, ma decide di farlo ricalcando quanto visto negli anni precedenti: è in questo modo, e quindi costruendo su una base già presente e consolidata, che si arriva a creare dei veri capolavori senza tempo. Un discorso simile può essere fatto con DOOM: lo sparatutto della coppia Carmack-Romero è infatti l’emblema di come un videogioco, potendo contare su un design curato nei minimi particolari, riesca ad abbattere ogni barriera legata al tempo. Non solo DOOM è giocabile ancora oggi, ma grazie a una community ricca e affezionata non smette e forse non smetterà mai di crescere. Il risultato? Un prodotto capace di trascendere non solo il tempo, ma direttamente intere generazioni di videogiocatori.

Altro modello da prendere in considerazione è Half-Life, che rispetto al titolo di id Software ha compiuto ulteriori passi avanti nella creazione e nella (ri)definizione di un genere. Mai prima d’ora si era visto qualcosa del genere, sia dal punto di vista del gameplay che della trama quantomai immersiva e stratificata. Un’opera la cui influenza riecheggia ancora oggi sull’industria del videogioco, e che spesso viene posta come termine di paragone in quanto FPS di qualità per antonomasia.

Stiamo parlando di titoli progettati (forse consapevolmente, o forse no) per durare nel tempo: un obiettivo raggiunto grazie all’attenzione ai più piccoli dettagli durante tutto il processo di design. A volte un videogioco può addirittura anticipare e di molto i tempi che verranno, come successo ad esempio con Metal Gear Solid 2: un titolo che non tutti hanno saputo amare sin da subito, ma che a conti fatti ha lasciato una traccia davvero indelebile nella storia dell’intrattenimento.

L’opera di Hideo Kojima riesce infatti a comunicare in maniera profonda un messaggio indirizzato direttamente al genere umano, muovendo critiche feroci alla società toccando punti che arrivano persino a sfiorare la preveggenza. Il monologo finale del gioco è infatti l’esempio perfetto di come la narrazione non solo può non invecchiare, ma può addirittura risultare ancora più attuale col passare degli anni. È in situazioni come questa che un “semplice” gioco si trasforma in un capolavoro senza tempo.

Questione di… Attenzione!

Accanto a questi esempi in fin dei conti sempre e comunque virtuosi, troviamo poi una serie di casistiche totalmente opposte: le dimostrazioni perfette di come un gioco possa nascere “già vecchio”, senza alcun legame con la propria età anagrafica.

Pensiamo al tanto atteso SimCity del 2013, che i fan della serie speravano potesse essere qualcosa di totalmente diverso da ci che è stato realmente. Se i titoli precedenti avevano portato innovazione e modernità nel genere dei videogiochi simulativi, in questo caso ci si è trovati di fronte a un titolo che di nuovo aveva soltanto un bel comparto grafico. Meccaniche viste e riviste, unite a una generale carenza in termini di immersività, resero SimCity un flop con pochi precedenti: il titolo, di fatto, era già superato e di molto il giorno stesso della sua uscita.

Un altro esempio? Umbrella Corps: uno degli svariati esempi con cui Capcom provò a sfruttare il franchise di Resident Evil con prodotti di scarsissima qualità, prima di redimersi (e meno male!) nel corso degli ultimi anni. Umbrella Corps è uno sparatutto del 2016 che, per gameplay e troppi altri fattori, risulta totalmente fuori luogo di almeno un decennio. Un prodotto macchinoso, con un level design confusionario e una carenza di modalità di gioco che resero il tutto il gioco perfetto da lasciar finire nel dimenticatoio.

A volte la colpa è delle eccessive aspettative, che finiscono con il gonfiare un prodotto ancor prima dell’uscita generando una pressione non da poco su chi è al lavoro per evitare che ciò si verifichi. È ciò che è successo a CD Projekt Red con Cyberpunk 2077, la cui versione old-gin è approdata sul mercato con decine di problemi e con dinamiche e meccaniche già datate a metà anni Duemila. Dalle collisioni alle animazioni, si ha infatti la sensazione di giocare a un titolo poco rifinito di un paio di decenni fa: se a questo aggiungiamo una narrazione altalenante, l’insuccesso è tristemente servito.

Cos’è mancato realizzazione di questi tre prodotti? Ciò che è stato messo in ogni singolo frammento, ad esempio, di un titolo come DOOM: l’attenzione ai particolari, studiata in modo da rendere ogni situazione all’interno del gioco replicabile in diversi tempi e modalità. Un gioco insomma non diventa “vecchio” sulla base della data di uscita, ma può trasformarvisi nel momento in cui vengono raggiunti nuovi standard così come può addirittura nascerci.

Un’ultima doverosa precisazione va fatta in relazione a un ambito vicino alle tematiche trattate oggi, ovvero il retrogaming. Il fatto che alcuni dei titoli citati risultino oggi “vecchi” non preclude assolutamente la possibilità di poterci giocare per puro divertimento, passatempo o anche per revisionismo storico. Il valore intrinseco in tali opere è infatti ciò che rende il videogioco uno degli strumenti di comunicazione più potenti mai creati, ed è proprio grazie a prodotti come questi se oggi ci troviamo di fronte a un medium sempre più affermato all’interno della cultura pop. “Vecchio”, insomma, non significa assolutamente “da buttare”. Mai.

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